Nell'articolo pubblicato ieri abbiamo analizzato la
questione normativa relativa all'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole dell’infanzia. Oggi intendiamo invece approfondire alcuni aspetti più
legati al senso e al come questa cosa può essere portata
avanti.
Per farlo vi riproponiamo una elaborazione di alcuni materiali sull'argomento: l’articolo “I bambini sono
dentro le nuvole, poi...”, redatto da Paola Cagliari, Claudia
Giudici, Deanna Margini e pubblicato sulla rivista Bambini (http://www.edizionijunior.com/riviste/articolo.asp?IDart=711
); l’intervento intitolato “La dimensione religiosa e l’educazione”, utilizzato
in un percorso di formazione per educatori e insegnanti neo assunti a Reggio
Emilia.
Partiamo da uno spunto rilevante: l’innovazione del
concordato del 1985 introduce una distinzione che non c’era nella legislazione
precedente: tra religione, in questo caso cattolica, e religiosità o sentimento
religioso o dimensione spirituale. La religione cattolica, (o altre che
firmassero identica Intesa) che diventa materia di insegnamento dentro alle ore
specifiche e separate di insegnamento; la religiosità, distinta dalla
religione, presente all'interno degli orientamenti e dei programmi come parte
della costruzione del sé e della relazione con l’altro.
Definire religione
e religiosità è compito non di
immediata esecuzione. Possiamo provare a indicare la religione come il complesso delle narrazioni mitiche, delle norme
etiche e salvifiche e dei comportamenti connessi al culto che esprimono, nel
corso della storia, la relazione delle varie società umane con il mondo divino.
La religiosità, invece, la intendiamo come il senso religioso inteso soggettivamente e al di là di ogni riferimento a
religioni storiche istituzionali.
Possiamo convenire allora, e questa è una idea utile
per affrontare l’aspetto educativo della dimensione religiosa, sulla idea che
la religiosità, il sentimento religioso, la dimensione spirituale vengono prima
della religione, appartengono a tutti gli individui come apertura verso il
trascendente, verso ciò che trascende il nostro tempo e il nostro spazio che
sono ‘finiti’, limitati, come ricerca di significato e di senso della propria
vita. Il sentimento religioso presente in tutti gli uomini ha prodotto nelle
diverse culture le religioni storiche.
Il sentimento religioso, la ricerca spirituale sono
naturalmente presenti nel bambino fin dalla sua nascita. Questo viene
confermato dalla presenza “spontanea” nei bambini di domande che afferiscono a
questa dimensione: spontanea nel senso di puro,
autogenerato, privo di contaminazioni culturali dovute all’esperienza o
all’insegnamento intenzionale. Sottolineiamo anche, in parallelo, l’interesse alla ricerca a cui i bambini si dimostrano
fortemente disponibili, e che le argomentazioni e domande formulate dai bambini
trovano subito negli altri bambini partecipazione, coinvolgimento, sentire
comune, adesione, contributo di pensiero, voglia di confronto e di discussione;
i bambini non attendono il permesso o l’input degli adulti per attivare queste
ricerche soggettive ed intersoggettive e che è quindi in questo senso che
usiamo il termine spontaneo. Nella loro ricerca spirituale i bambini
incontrano, abbracciano, fanno proprie, più o meno provvisoriamente, risposte
che attingono dalla/dalle religione/i e dalle testimonianze di fede che hanno
più vicino. A partire da questa analisi pensiamo siano maggiormente
apprezzabili le esperienze che non relegano “l’ora di religione” ad un momento
specifico ritagliato ad hoc nel quadro orario quotidiano della scuola, ma che
l’attenzione a questo tema sia, pur nella sua specificità e particolarità,
trasversale all’agire pedagogico di ogni giorno.
L’esperienza delle scuole dell’infanzia di Reggio
Emilia procedono in questa direzione. Sono previsti spazi di ascolto verso il
sentimento religioso dei bambini, attraverso la disponibilità a essere cassa di
risonanza delle loro ricerche di senso e di significato e delle loro esperienze.
Sono quindi accolti tutti i segni delle religioni che i bambini vogliono
portare dentro come segno di una esperienza, testimonianza di un vissuto carico
di significati emotivi, affettivi, relazionali, che sono relativi a quel
bambino e non assoluti ed entrano in dialogo con quelli degli altri (calendario
delle feste del centro famiglie, invito a portare elementi di tradizioni delle
famiglie da condividere a scuola, ecc.)
Non c’è argomento che i bambini non possano
discutere ed esplorare se ne hanno interesse. La conversazione è il luogo e la
strategia attraverso cui i bambini discutono, si confrontano, cercano idee e
conferme dagli altri, offrono il loro contributo al gruppo. È quindi una
situazione progettuale, che consente la costruzione condivisa di saperi nuovi e
l’individuazione di tematiche rilevanti per i bambini.
Per assumere questo valore per i bambini e per gli
adulti la conversazione, non solo, ma soprattutto quella su questioni
trascendenti, non può essere intesa come strategia attraverso cui l'adulto
verifica la correttezza delle idee e delle conoscenze dei bambini
“interrogandoli”, ma come luogo di apprendimento dove le domande sono “vere”
domande, dove l’adulto ha un reale interesse a incontrare le idee dei bambini,
dove i bambini legittimati ad argomentare le proprie idee nella dimensione
dello scambio possono evolvere le loro ipotesi e conoscenze sviluppando nuove
teorie e saperi. In questo senso non è tanto importante l’esattezza o la
completezza del sapere che ognuno esprime e costruisce, ma il processo
attraverso cui viene espresso e costruito e la consapevolezza del processo
stesso. È importante che sia percepibile a tutti i bambini il rispetto per la
ricerca di significato che ognuno di loro sta facendo insieme agli altri.
Questo richiede soprattutto agli adulti, ma anche ai
bambini, un atteggiamento di accoglienza intesa, “non come sentimento materno
ma come figura dell’intelligenza”[1] come
disponibilità a tenere aperta la dimensione della domanda, della ricerca, della
curiosità, del rispetto come atteggiamenti verso il conoscere e verso gli
altri. Questa disponibilità chiede agli adulti di avere fiducia nei bambini,
nella loro capacità di essere responsabili del proprio agire e nella loro
autonomia di pensiero e di scelta. Nella consapevolezza che ogni apprendimento
è sempre provvisorio e parziale.
L’interessante analisi che ci viene da Reggio Emilia
sostiene che una scuola laica è un luogo che non si affida a verità certe, né
religiose, né scientifiche, ma si affida alla ricerca, allo scambio, al
dialogo, alla elaborazione soggettiva ed intersoggettiva perché ognuno formuli
le sue teorie, idee, faccia le sue scelte. Scuola laica dunque nel senso che
tiene aperta la disponibilità alla domanda e alla ricerca di ognuno con gli
altri. Scuola laica più orientata a costruire menti capaci di interrogarsi e di
dialogare, che non menti piene di informazioni vere e certe. Menti dubitative
cioè capaci di porsi domande, ma non dubbiose cioè incapaci di prendere una
posizione. Come adulti non ci si può solo sentire “registratori neutri” di ciò
che i bambini discutono o portano. Rispetto non significa indifferenza. I
bambini chiedono agli adulti di dichiararsi. E' importante che gli adulti
quindi riflettano sul come lo fanno, su quanta parzialità agisce nel dichiarare
le opinioni, credenze, vissuti, per fare spazio a opinioni, credenze, vissuti
dei bambini.
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