Dirigente scolastico, Istituto Comprensivo di Cadeo e Pontenure (Pc)
Non
che prima si prendesse a cuor leggero, ma la nota ministeriale 574 del 2014 ha
evidenziato la necessità di una cura maggiore nella decisione: “Sottolineando
la straordinarietà e specificità degli interventi in questione […] i Dirigenti
Scolastici esaminino i singoli casi con sensibilità e accuratezza […]
predisponendo percorsi individualizzati e personalizzati […] solo a conclusione
dell’iter sopra descritto, inerente casi eccezionali e debitamente documentati,
e sempre in accordo con la famiglia, il Dirigente Scolastico – sentito il team
dei docenti – potrà assumere la decisione […] di far permanere l’alunno nella
scuola dell’infanzia per il tempo strettamente necessario all’acquisizione dei
prerequisiti per la scuola primaria, e comunque non superiore ad un anno
scolastico, anche attraverso un’attenta e personalizzata progettazione
educativa”.
A titolo faceto corrisponde argomento molto
serio.
A molti di voi, dirigenti o maestre, sarà capitato nella vostra carriera di affrontare il
trattenimento di un bambino alla scuola dell’infanzia. Va subito detto che da
un anno, a seguito di un pronunciamento del MIUR, tale “pratica” è diventata
più difficile, complessa, comunque legata a una riflessione più ponderata.
Parole di premura e
di attenzione rispetto a un orientamento – trattenere il meno possibile e
favorire l’accesso all’obbligo – dettato dalla natura stessa della primaria,
voluta anche nei documenti ufficiali (dalla riforma Moratti ai Bisogni
Educativi Speciali, si potrebbe dire più nei documenti ufficiali, forse, che
nella realtà), come inclusiva e personalizzata. Ma quando si presenta il caso,
quando magari anche gli esperti (ASL, specialisti) suggeriscono un
trattenimento e la famiglia è più che favorevole, come si deve comportare la
scuola? Ho escluso gli altri casi perché senza le specifiche professionalità
del settore e il supporto dei servizi territoriali, che motivino in maniera
forte il trattenimento come tempo di crescita, o senza il convincimento, direi
meglio l’adesione, della famiglia a un progetto di vita e d’apprendimento
diverso, ben poco si può fare, per norma e buon senso.
Può essere però solo una scelta
proiettata al futuro presa negli ultimi mesi di scuola dell’infanzia? Dai 3 ai
5 anni lo spettro di potenzialità della crescita sia relazionale che di
autonomia, che degli apprendimenti è eccezionale, anche in casi particolari,
malattie o disabilità. Soprattutto dove c’è un sostegno sin dal primo approccio
alla scuola, non è possibile avviare una personalizzazione che permetta
percorsi diversi anche all’inizio della primaria? Coinvolgendo specialisti e
famiglia? Insomma, preparare il terreno al passaggio attraverso una
personalizzazione proattiva?
Il mio auspicio è che il dopo sia costruito dal prima,
che eventuali scelte siano eccezionali proprio perché si rilevino caratteri
eccezionali che i percorsi della scuola dell’infanzia – attenta per tradizione
alla globalità del bambino – non hanno potuto
compensare. Perché la scelta sia consapevole e non dell'ultimo minuto.
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