Dirigente
scolastico, Istituto Comprensivo di Cadeo e Pontenure (Pc)
Nominando “la cura” non voglio parlare della nota canzone di Battiato,
soprattutto accostandola ai cento linguaggi di Loris Malaguzzi. La cura e i
cento linguaggi sono, in estrema sintesi, il senso del seminario nazionale
sulle Indicazioni per il curricolo sulla scuola dell’infanzia, tenutosi a Bologna il 24 e 25 marzo scorsi, e intitolato: “Infanzia e
oltre.
Una buona partenza per una buona scuola”. A livello istituzionale e
nazionale, la realizzazione di eventi di riflessione e testimonianza sulla
scuola dell’infanzia non è frequente. Altri ordini di scuola e altre tematiche
offrono molte più occasioni.
Questa
contestualizzazione iniziale sicuramente influenza le mie parole in libertà,
che non sono – avviso – una cronaca fedele, quanto piuttosto una, anzi due
riflessioni a posteriori, al netto degli interventi ascoltati che, come
previsto, sono stati tutti efficaci, interessanti, motivanti; sia quelli da
palco sia quelli provenienti da buone pratiche, visto che nella seconda
giornata sono state presentate circa quaranta esperienze da tutte le scuole
d’Italia. Insomma una bella boccata d’aria di saperi ed esperienze, di quelle
che ti fanno tornare a scuola carico.
Ma torniamo alle
mie due idee. Quello della cura è stato indubbiamente il tema più ricorrente:
tornare alla relazione forte, empatica, allo sguardo, all’attenzione emotiva...
Ma la cura è anche il patrimonio più forte della nostra tradizione di scuola
dell’infanzia ed è sicuramente un’attenzione che raramente manca. Oppure no?
Con i nostri bambini, tra l’altro, è difficile lasciarsi traviare da altre
premure “scolasticistiche” (tipo gli apprendimenti…) perché la loro stessa
essenza ci riporta su quel campo, in quel contesto educativo di sguardi che si
incontrano. Cito al volo da Luigina Mortari: Prestare attenzione,
ascoltare, esserci con la parola viva e germinale, sentire con l’altro, la
giusta misura, lasciar essere e chiedere di esserci, con distante prossimità,
con delicatezza, con fermezza… ecco,
tutto questo è giusto che venga ribadito, ma lo pensavo, onestamente,
definitivamente acquisito.
Quello sui
“cento linguaggi” è il seminario, tra i nove di buone pratiche, a cui ho
partecipato, ma le evidenze delle esperienze sono state al centro di molte
relazioni. Forse per la curiosità digitale che mi distingue, resto sempre
stupito che il pacchetto tv, linguaggi, giochi digitali sia più o meno esplicitamente
esorcizzato. Stupito non perché credo da sempre all’integrazione tra tutti i
linguaggi, ma perché i bambini che entrano nelle nostre classi fanno
quotidianamente pratica digitale: spetta alla scuola cercare di capire come
convivranno digitale e realtà per queste età particolari, oppure essere
bilanciamento consapevole (la parola, il corpo ecc.) dell’assuefazione
digitale, vietandola.
È primavera (tarda ad arrivare, direbbe sempre Battiato, ma c’è): i
parchi si riempiono di bambini alla ricerca di
esperienze sensoriali e motorie. I novantanove
linguaggi non li ruba nessuno: ma se non ci occupiamo del centesimo (il
digitale) come risorsa, davvero esso usurperà gli altri: è più veloce e
suadente; e molto più sensoriale ed emozionale di ciò che comunemente a scuola
si pensa.
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