Senior Researcher
presso il Centro VBJK di Gent (Centre
for Innovation in the Early Years) e Cultrice della materia presso il
Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di
Firenze
“Una lettera dalla Venezia delle
Fiandre, in cui una pedagogista ci confidi che cosa le viene in mente
ritornando con il pensiero a Firenze, ai nidi, all’Italia…” Così la redazione
di “Bambini” mi ha spiegato che cosa avrei dovuto scrivere in questo breve
testo che state leggendo.
Ho ripercorso allora questo ultimo
ricco anno durante il quale mi sono trasferita da Firenze a Gent, in Belgio,
dove un vivace gruppo di ricercatori e pedagogisti anima le mie giornate
lavorative.
Vivere “fuori” può essere l’occasione
per decostruire e ricostruire quello che davamo per scontato, a cominciare dai
significati di alcune parole. La prima che mi viene in mente è “bellezza”, tema
che ha animato anche l’ultimo Convegno Nazionale a Reggio Emilia. Bellezza è un
termine tanto universale quanto contestualizzabile. La prima volta che ho
visitato i nidi belgi non li ho trovati belli, li ho trovati molto più “pieni”
di quelli italiani (per lo meno in alcune regioni) a cui sono abituata. Più
caotici, in un certo senso. Portavo (e porto) con me un’idea di bellezza fatta
di leggibilità, di armonia di colori, di materiali naturali, di offerta non
strutturata.
Questo era (ed è) quello che mi è stato insegnato, che fa parte di me, e che cerco nei luoghi che incontro. Ricordo però anche che di quella prima visita mi colpì il fatto che i bambini si muovevano con estrema autonomia e competenza in quello che ai miei occhi appariva come un luogo caotico. Sapevano dove andare e cosa fare, sapevano abitare quello spazio e farlo proprio.
Questo era (ed è) quello che mi è stato insegnato, che fa parte di me, e che cerco nei luoghi che incontro. Ricordo però anche che di quella prima visita mi colpì il fatto che i bambini si muovevano con estrema autonomia e competenza in quello che ai miei occhi appariva come un luogo caotico. Sapevano dove andare e cosa fare, sapevano abitare quello spazio e farlo proprio.
Questo ricordo misto è rimasto lì per
un po’ di tempo, senza ulteriori domande, fino a quando il Belgio ha cominciato
a far parte della mia vita in maniera più continuativa, e le domande sono
diventate pane quotidiano.
Cosa vuol dire bellezza? Quante
bellezze ci sono? Bambini che si muovono a proprio agio in uno spazio
conosciuto sono un’immagine di bellezza? Famiglie che si sentono accolte nelle
loro differenze, seppure in ambienti “semplici”, sono un’immagine di bellezza?
Bellezza di relazioni? E soprattutto, se non si è consapevoli della pluralità
di idee di bellezza, è possibile rimanere imprigionati nella propria, e offrire
un modello unico nel quale non necessariamente tutte le famiglie si riconoscono?
Ricordo che un paio di anni fa ho
accompagnato un docente di una Università belga a visitare alcuni nidi in
Toscana. Nidi leggibili, arredati con materiali naturali, senza plastica,
arricchiti di documentazioni pedagogiche curate. Nidi “belli”. A conclusione di
una delle visite, il professore belga ha chiesto alle educatrici: “È tutto
veramente ben curato qui. La luce, i mobili, le documentazioni… Vi è mai
capitato che un genitore esprimesse disagio nel venire in un luogo tanto bello
da essere troppo lontano da quello che lui/lei come genitore può offrire al
figlio?”. L’ho trovata una domanda interessante, anche perché inaspettata
rispetto alle domande che solitamente avevo sentito. Una domanda “nuova” nel
contesto italiano, ma non in quello belga. “Qui” mi ha detto il docente belga
quando siamo usciti “si respira una bella qualità. Bisogna fare attenzione che
non diventi una dittatura della qualità”.
forse tutto bello ai nidi nelle grande città, purtroppo nei piccoli paesi, dove viviamo noi, non si vedono materiali naturali, tutto brn curato, ecc
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