Cinzia Mion
Psicopedagogista, psicologa e formatrice; già dirigente scolastica e già componente della Commissione Pari Opportunità donna-uomo del Ministero della Pubblica Istruzione
È di un paio di anni fa il
bel manifesto provocatorio del maestro elementare Franco Lorenzoni,
coordinatore della Casa laboratorio di Cenci, inviato all’allora
sottosegretario Rossi Doria, dal titolo “Fino a otto anni scuole libere dai
computer”. A questa lettera aperta, ricca di argomentazioni psicopedagogiche,
rispose Rossi Doria con una lettera-saggio: “Costruiamo aquiloni e navighiamo
nel web” in cui si raccomandava in modo molto suggestivo l’uso delle “mani che
pensano”, come ama definirle Clotilde Pontecorvo.
Il sottosegretario non
poteva sconfessare le scelte del MIUR per cui nel suo intervento coniugava sia la
difesa della scuola, che si sofferma sull’apprendimento che solleva domande di
senso, sia l’attenzione all’avanzare ineludibile della tecnologia e l’uso del
web, naturalmente alla scuola primaria, non di sicuro alla scuola
dell’infanzia. È per questo motivo che sono rimasta sconcertata quando a
novembre dell’anno scorso ho visto il progetto “lnf@nzia Digitales 3.6” , sponsorizzato
dall’azienda italiana “Engineering Ingegneria Informatica”.
Mi rimangono comunque i due
testi da cui partire per alcuni personali “pensieri in libertà”, aperti anche
all’accusa che non sono di sicuro una nativa digitale, ma provengo da un lungo
periodo di formazione psicomotoria rivolta a coloro che hanno a che fare prima
di tutto con la propria corporeità a fronte di bambini e bambine reali,
presenti con la globalità del loro corpo, emozioni, sentimenti oltre che
razionalità.
Recentemente, a rilanciare
il dibattito, ci ha pensato Umberto Galimberti su Donna di “Repubblica” nel suo
pezzo “Come il computer ci cambia la testa” in cui, dopo aver criticato
l’assenza di fisicità nella comunicazione virtuale, avanza anche l’ipotesi che
questa eccessiva digitalizzazione portata nella scuola, o almeno auspicata,
possa rendere tutti “convergenti” a fronte di una richiesta significativa a livello
mondiale di pensiero “divergente”, per risolvere i problemi che il semplice
pensiero convergente ha provato ad affrontare senza grandi risultati.
Ho osservato recentemente
in Puglia una classe prima di una scuola secondaria di primo grado, completamente
digitalizzata, alle prese con i tablet. L’impressione ricevuta è stata di una
diffusa eccitazione, una competenza incredibile nel cercare e trovare su
Internet informazioni, ma una grande difficoltà ad accedere al pensiero
riflessivo. Al posto della competenza connettiva, data dalla fatica di pensare,
appariva la velocizzazione impressa dal web e l’ingenua connessione automatica
offerta da esso.
Allora, se per i genitori,
sollecitati dalla deriva sociale dell’efficienza e produttività con il minor
costo possibile in termini di impegno e fatica, la magia del computer ha un
fascino irresistibile, bisogna rispolverare il vecchio Neil Postman con il suo
Ecologia dei media.
Avere perciò chiara
consapevolezza che la scuola non può aderire acriticamente a quelle che sono le
richieste del mondo sociale, ma deve apporre il suo filtro psicopedagogico. Di
fronte alla sovra informazione dell’era digitale, Postman contrappone la
funzione termostatica della scuola, intesa come contropotere.
Nessun commento:
Posta un commento