di
Elisabetta Marazzi
Una delle cose su cui
sempre più spesso ci interroghiamo è il grande tema del rispetto
delle regole e dell’ascolto attivato dai bambini nei confronti
dell’adulto… Vengono alla mente situazioni in cui l’educatore
si trova a ripetere continuamente le stesse regole e a ribadire cosa
sia o non sia lecito fare. In questa ripetizione siamo altrettanto
portati a sottolineare che le regole sono uguali per tutti e che se
alcuni le rispettano devono farlo anche gli altri.
Simili pensieri rimandano
a concetti come la non modificabilità della regola e il principio di
eguaglianza tra le persone e richiamano alla mente l’art. 3 della
Costituzione Italiana che così dice: “Tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali”.
L’art. 3 sottolinea
come il rispetto dell’uguaglianza significa rispettare le diversità
e le specificità di ciascuno. Ecco quindi che se rispettiamo le
diversità, inevitabilmente le regole stesse dovranno essere
differenziate e/o ridiscusse in relazione ai singoli soggetti e ai
gruppi coinvolti nella relazione educativa.
Si potrebbe ipotizzare
che, nell’eccessiva diversità, la regola possa perdere di
significato ma, forse il valore della regola non sta nella regola
stessa quanto nei significati e nella valenza relazionale che
trasmette. Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che il “no” e
il limite non stanno nella parola quanto negli atteggiamenti verbali
e non verbali che accompagnano la parola, nel modello che offriamo
rispettando noi in primis, come adulti, le regole che riportiamo ai
bambini, nel nostro modo di ragionare con loro sul senso delle regole
e nel nostro modo di essere.
Siamo tutti consapevoli
dell’importanza di avere/dare dei limiti, una cornice che contenga
facendoci sentire sicuri, riconosciuti, pensati e protetti, ma tale
contenitore perde di senso se deve essere letto solo come
un’imposizione e non come un obiettivo. Sovente quello che perdiamo
di vista nel dialogo con i bambini è che la regola e il limite
diventano sempre rappresentativi di qualcosa che non è possibile
fare. Forse la regola e il “no” possono divenire l’occasione
per cui c’è altro che può essere fatto: non il sacrificio, non il
vincolo come mancanza, non l’impedimento ma un’occasione per
vedere e cogliere le altre possibilità e occasioni che le regole
stesse offrono. È come quando i bambini, nel costruire il loro
gioco, spendono tempo a definire le regole del gioco stesso più che
a giocare… il vero piacere sta nella definizione di queste regole e
nell’occasione che stanno offrendo: ad esempio, l’opportunità di
conoscenza dell’altro, di ricerca di mediazioni e possibili
risposte, di sperimentazione di modelli comunicativi e punti di vista
differenti, di comprensione che una molteplicità di differenze
possono essere rispettate.
Allora chi
non ascolta? L’adulto o il bambino? I bambini forse, ascoltandoci,
ci dicono che hanno bisogno di capire perché, che vogliono essere
parte attiva nel percorso di interiorizzazione delle regole, che
auspicano di poter stare in una relazione di fiducia con adulti che
si affidano consapevolmente a loro, non delegando ma scegliendo
responsabilmente… ci chiedono di accompagnarli in un cammino che
permetta loro di sostituire il dover essere con il voler essere!
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