Oggi i nostri bambini sono “a
rischio”, non per i pericoli che potrebbero incontrare nella loro vita
ordinaria, familiare e scolastica, ma all'opposto proprio perché non gli
permettiamo più di correre alcun rischio.
Durante gli ultimi decenni nella
moderna società occidentale vi è stata una crescente attenzione verso la
sicurezza dei bambini e in modo particolare verso la sicurezza nelle loro
attività negli ambienti di gioco, che ha coinvolto sempre più politici,
genitori e professionisti dell’educazione.
Il punto di vista delle
famiglie
Osservando le nuove generazioni
di genitori ci accorgiamo che quasi ostacolano la crescita dei propri figli,
che tendono a considerarli sempre piccoli e “non ancora capaci di…”. Il rischio
è spesso erroneamente confuso con il pericolo, con la conseguenza che viene
fortemente limitata la possibilità di agire in risposta a un’avvertita ansia di
protezione, che porta a enfatizzare la “sicurezza” del bambino, percepita come
minacciata da azioni apparentemente prive del controllo e della supervisione
diretta dell’adulto. Teniamo i bambini al sicuro, quasi agli arresti
domiciliari, perché “rischiare non è concesso ai bambini e quei genitori che lo
consentono non sono visti come buoni genitori […] ma evitare il rischio
equivale a perdere delle opportunità” (L. Vascotto, “Rischio”, in M. Guerra, a
cura di, Fuori. Suggestioni nell'incontro tra educazione e natura, Franco
Angeli, Milano, 2015).
Il punto di vista dei servizi
L’odierna normativa sulla
sicurezza in relazione agli ambienti utilizzati dai bambini influenza in
maniera decisa le possibilità di gioco che noi offriamo loro. Se è vero che di
recente l’attenzione sulla sicurezza riguardante gli spazi gioco di parchi,
scuole e asili è aumentata in maniera significativa, la domanda che ci dobbiamo
porre è se questa regolamentazione porta a effettivi benefici. Oggi i nostri
servizi dovrebbero aprirsi a pratiche e azioni centrate su un’idea reale di
bambino competente e questo significa che accentuare l’attenzione sulla
sicurezza può essere problematico se, nell'esagerato tentativo di proteggere i
bambini evitando loro qualsiasi possibilità di danno, limitiamo eccessivamente
possibilità d’esperienza e di stimolo importanti per la loro crescita. Il
bambino è in pericolo davvero oggi, ma perché è portato “all'inazione”. Le
nostre azioni educative rischiano di diventare anti-pedagogiche se continuiamo a
sottrarre lui le esperienze nella realtà vera dove sono il corpo, il movimento,
i sensi, le relazioni concrete con le cose e con le persone a guidare la sua
maturazione.
Il senso autentico
dell’educazione, a scuola come in famiglia, dovrebbe essere quello di aprire le
possibilità, i “campi” d’esperienza al bambino, non di chiuderli. Ciò che i
bambini dovrebbero poter fare è rischiare e provare a superare da soli quelle
difficoltà che invece preventivamente gli facilitiamo, esplorare in autonomia
ciò che invece tendiamo preventivamente a svelargli, porsi domande e cercare
risposte prima che siamo noi a dargliele. Dobbiamo quindi riflettere, sia come
educatori che come genitori, sulla nostra iper-protezione tanto amorevole
quanto dannosa e provare a pensare insieme a una progettazione che affronti i
rischi non come realtà da cui porsi al riparo ma come opportunità di crescita.
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