di Daniele Barca
Leggo su un quotidiano della
Capitale che il Comune pian piano lascerà la gestione dei nidi a privati e
delle scuole dell’infanzia allo Stato.
È un segno dei tempi, la fine (o
l’evoluzione?) di numerose esperienze 0-6 che molti Comuni avevano iniziato
negli anni Settanta per andare incontro alle esigenze crescenti delle comunità
e delle famiglie – sempre più impegnate e più lavoratrici – prima dell’inizio
dell’obbligo scolastico. La parola magica è servizi integrati, che non è una
parolaccia. Non credo che tutto sia dovuto a tutti e nemmeno che si possano
mettere sullo stesso piano condizioni di necessità diverse. Non credo che la
scuola 0-6 debba rispondere a una necessità; così come non credo che gli ISEE
(strumento necessario ma non dirimente) siano le tavole della legge. Chi
conosce le realtà, piccole o grandi che siano, sa che si perpetuano ingiustizie
significative di trattamento.
Credo però nella partecipazione
del singolo e della collettività alla gestione della cosa pubblica. Molti
pensano che lo Stato debba dare tutto, soprattutto nell'istruzione. Si
sottovaluta che l’idea di Stato-Mamma non regge, non tanto e non solo in
termini di sostenibilità economica, quanto di responsabilizzazione del
cittadino e della comunità dei cittadini. Le esigenze sono mutate profondamente
e sono davvero convinto che una scuola pubblica più ricca sia una scuola dove
ognuno fa la sua parte.
Ma lasciamo stare questo
preambolo che ci porterebbe lontano: davvero l’obiettivo 0-6, cioè il ciclo
preobbligo è così lontano in Italia dall'avere una sua unitarietà? La Buona
Scuola nei suoi propositi iniziali intendeva cancellare le attuali “barriere
tra nidi e materne”, introducendo un nuovo modello formativo con l’infanzia
scolastica che “non avrà più cesure: andrà tra zero e sei anni,
ininterrottamente”; che il nido “non sia più un servizio a domanda
individuale, di carattere sociale. Sarà un servizio generale, di carattere
educativo. Tutto viene incardinato sotto la responsabilità unica del Ministero
dell’Istruzione”. Detto grossolanamente: una formula mista in cui lo Stato
fornisce indirizzi e gli Enti locali amministrano. Appunto i servizi integrati.
La legge 107 prevede che entro gennaio 2016 il Governo dovrebbe emanare un
decreto legislativo che modifichi sostanzialmente gli assetti della scuola
dell’infanzia e dei nidi. In nome della specificità dei due percorsi (che
verrebbe, secondo i detrattori, sottintesa rispetto all'unitarietà dei
percorsi) si sono accese molte polemiche; ci sarebbe anche un disegno di legge
già pronto; oggi non è ben chiaro chi possa insegnare a chi e con quale titolo;
si evidenzia da più parti la scarsa chiarezza sui finanziamenti e il fatto che
dietro la formula “servizio integrato” vi potrebbero essere oneri maggiori per
le famiglie. Ho già chiarito che nella partecipazione delle famiglie ci credo,
ma non è l’aspetto che più mi convince di questa rivoluzione culturale: è
proprio l’idea di costruire percorsi non solo assistenziali ma educativi a
convincermi. In molte città si fa fatica a realizzare istituti comprensivi
perché sono mere aggregazioni di scuole diverse. La continuità, in questo mondo
liquido e in educazione, credo sia un valore. Certo con stacchi, differenze e
gradualità, ma comunque un valore... Come credo che 0-6 sia un valore in cui
assistenza/educazione siano per la nostra prima infanzia endiadi fondanti pari
ad autonomia/relazione per la nostra preadolescenza.
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