Pubblichiamo oggi questo contributo di Carmen Vesci, psicologa e psicoterapeuta.
Questo articolo nasce dalla mia
esperienza professionale come psicologa dell’età evolutiva e psicoterapeuta
clinica che lavora con le famiglie ed in particolare, da un intervento
presentato al festival della psicologia tenutosi a Milano nel mese di Maggio 2012, a cui ho partecipato
conducendo un seminario che aveva come
argomento le paure dei bambini.
L’obiettivo è riflettere su un tema che mette spesso in crisi gli adulti (genitori, educatori) che non sanno come aiutare i bambini ad affrontare un’emozione naturale ed indispensabile al processo di crescita di un essere umano. L’obiettivo di questo articolo è quello di illustrare il significato biologico ed evolutivo della paura per poi passare ad affrontare il ruolo di genitori/educatori che hanno a che fare con bambini che hanno paura.
L’obiettivo è riflettere su un tema che mette spesso in crisi gli adulti (genitori, educatori) che non sanno come aiutare i bambini ad affrontare un’emozione naturale ed indispensabile al processo di crescita di un essere umano. L’obiettivo di questo articolo è quello di illustrare il significato biologico ed evolutivo della paura per poi passare ad affrontare il ruolo di genitori/educatori che hanno a che fare con bambini che hanno paura.
Perché è importante avere paura
La paura può essere definita come
un’emozione primaria di difesa che la persona sviluppa in situazioni di
pericolo, reali o soggettivamente percepite come tali e può essere rivolta ad
oggetti, persone o situazioni specifiche. Tutte le emozioni promuovono la
sopravvivenza e quindi si conservano nell'evoluzione poiché mirano a regolare i
processi vitali o in modo diretto (evitare i pericoli, aiutare gli organismi a
trarre vantaggio da un’opportunità) o indiretto (facilitando le relazioni
sociali). Da un punto di vista biologico ed evolutivo dunque la paura è
positiva; senza non si può sopravvivere, però per la qualità della nostra vita
è importante imparare a gestirla.
Il bambino quando nasce passa da
una situazione intrauterina sicura e protettiva ad una a "rischio" in
cui tutto é nuovo, sconosciuto, spaventoso. La paura è proprio l’espressione di
un qualcosa che entra in dissonanza tra il sentire interno e la realtà
percepita. Il ruolo dell’adulto allora diviene proprio quello di rendere
comprensibile e gestibile quel che avviene, attraverso il contenimento fisico e
psichico, dando un significato ed un nome a quello che prova il bambino. Nel
momento in cui questo non succede abbiamo quelli che possiamo chiamare disturbi
della regolazione ovvero le difficoltà nel regolare emozioni e comportamenti in
relazione ad uno stimolo sensoriale e ciò porta a limitazioni dello sviluppo.
Possiamo raffigurare in questo modo il processo appena descritto :
Fig. 1
Nell'infanzia ci si trova di
fronte a paure di tipo “irrazionale” (ad esempio i “mostri “ e “fantasmi”);
crescendo poi esse divengono sempre più complesse ed interessano anche la sfera
sociale e relazionale (ad esempio, la paura di apparire inadeguati). In momenti
di crisi o di particolare stress possono intensificarsi ed alcune possono
ricomparire alcune paure, ne esistono comunque alcune tipiche dell’infanzia,
tra le principali citiamo:
● LA PAURA DELL ’ABBANDONO:
la più antica è legata alla separazione dalla figura di riferimento. Aumenta
soprattutto nelle “fasi evolutive di passaggio” ed ogni volta che il bambino si
confronta con nuovi traguardi fisici o mentali.
● LA PAURA DEL BUIO: la
notte, intesa come lungo momento di separazione in cui aumenta l’ignoto, può attivare sentimenti di
abbandono.
● PAURA DELLA MORTE: Dopo i 3
anni progredisce la capacità di comprensione
della morte per cui il bambino fa pensieri sulla morte propria e dei
propri genitori, poi dai 4 anni circa la morte è associata all'irreversibilità
come per gli adulti.
● PAURA DELLA SCUOLA : la scuola
rappresenta la prima volta con ”l’altro” fuori dallo spazio sicuro della
famiglia e questo può generare paura. In particolare l’ambiente scolastico può
incrementare i timori legati alla propria performance oppure la difficoltà di
gestire i rapporti sia con i compagni che con altri adulti.
Gli adulti di fronte alla paura
dei bambini, relazionarsi col bambino e le sue paure
Perché i bambini imparino a
gestire in maniera sempre più autonoma le proprie paure c’è bisogno di un Adulto significativo che sia stato una fonte
di supporto emotivo e cognitivo. Rifacendoci alla teoria dello sviluppo
analitico transazionale possiamo dire che nel corso del suo sviluppo il bambino
attraversa diverse fasi ed in ciascuna di esse ha bisogno che l’adulto che si
prende cura di lui gli consenta di sviluppare le sue potenzialità fornendogli i
“permessi” specifici di ogni fase (Mastromarino, 2000). I principali sono:
1. Puoi esserci-esistere (ti tengo tra le braccia, mi piaci come
sei, sono contento che tu ci sia)
2. E’ ok esplorare, fare cose nuove da soli ed avere anche
l’aiuto dei grandi (bravo, hai fatto bene)
3. Puoi dire di no e farti sentire, io ti ascolto
4. Puoi pensare (è ok chiedere, essere curioso, mi piace
rispondere alle tue domande)
5. Puoi crescere, diventare grande, conoscere nuovi amici ( io ci
sono, sono contento che cresci, continuerò a starti vicino)
6. Puoi essere te stesso (mi piace che tu sia maschio, femmina,
alto, basso, ecc …)
7. Puoi sentire le tue emozioni e mostrare i tuoi sentimenti
Rispetto all'ultimo punto, nello
specifico, un’attenzione particolare la merita quello che potremmo chiamare il
“permesso di sentire la paura”. Infatti spesso nella nostra società si insegna a non manifestare questa emozione
come se ciò dimostrasse “maturità”. Quello che accade invece è che il bambino
impara a nascondere l’emozione anziché ad affrontarla e risolverla. Ma il
bambino”reale” ha paura ed è giusto che sia così; è un processo fondamentale
anche a livello relazionale. Infatti esperienze ripetute di accoglimento e
rispecchiamento contribuiscono a creare quella “fiducia di base” necessaria ad
affrontare il mondo.
Un metodo “dannoso” con cui gli
adulti reagiscono al tema delle paure infantili sono le “minacce” che possono
essere di vario tipo:
a. Relative all'immagine corporea ed integrità fisica del bambino
(ad esempio ti picchio…)
b. Identità ed integrità psichica ( non esisti, non vali, ecc…)
c. Separazione (ti mando via, ti lascio al nido)
Questo può dar vita ad alcuni
disturbi come alterazioni del sonno e dell’appetito, regressione e stati di
ansia generalizzata. In casi molto gravi
bambini che sono stati terrorizzati fino a perdere il controllo possono
apparire indifferenti di fronte a situazioni paurose. A livello fisiologico
infatti il sistema di attivazione corporea (a causa di una iperattività del
sistema parasimpatico) disattiva le risposte dolorose di fronte alla paura e il
corpo rilascia gli oppiacei (sostanze intorpidenti).
Educare alla paura invece
significa sollecitare nel bambino un’ esplicita capacità di chiedere aiuto, di
palesare i suoi timori a chi può
aiutarlo a farsene carico. Ma significa anche dal punto di vista dell’adulto collocare
il proprio intervento non sul piano di una razionalizzazione svalutante nei
confronti dell’oggetto della paura bensì sulle capacità di rassicurare. Il
problema però è che le paure “immotivate” dei bambini sollecitano negli adulti
sensazioni di incapacità e sentimenti di impotenza.
La più grande difficoltà è che il
linguaggio degli adulti non corrisponde a quello dei bambini (es: non c’è
nessun mostro, non aver paura). In particolar modo nei primi anni di vita, il
linguaggio dei bambini è soprattutto quello delle emozioni. Può essere utile
allora l’utilizzo di alcuni strumenti:
1. Il gioco: insegna al bambino a gestire le emozioni legate alla
paura che diventa conosciuta e meno spaventosa. Dice Winnicott “nel gioco di un
bambino l’angoscia ne è sempre una componente” (Winnicott,1988) ed aggiunge che
l’angoscia è caratterizzata da una ricerca del fantastico, del mostruoso,
questa è essenziale per il bambino e lui non vuole evitarla. Nel caso della
paura della separazione e della perdita, ad esempio, essa viene riproposta e
ricercata in giochi come quello del
tunnel e del nascondersi permette al bambino di sperimentare che
l’adulto ritorna dopo un po’ che non è visto e quindi si rassicurano.
Importantissimi sono gli oggetti transazionali come ciuccio e peluches che non sono un mezzo di fuga,come spesso si
sente dire, ma elementi che permettono di accettare esperienze di separazione,
perdita, abbandono. Sono infatti modalità di rilassamento usate autonomamente
che saranno abbandonate quando il bambino disporrà di altri strumenti.
2. Il disegno: questo può essere un buono strumento per parlare
di “paura” se diventa occasione di relazione e di racconto: un bambino spiega,
racconta, domanda ed un adulto ascolta, racconta, risponde spiega in una
continua interazione (Dolores Munari Poda,2003). Diventando l’oggetto della
paura visibile la comunicazione diventa più facile soprattutto per l’adulto.
3. Fiabe e storie: questo tipo di narrativa mostra come la paura
sia da sempre un problema dell’umanità. I bambini riconoscono le loro emozioni
attraverso la storia che ascoltano, ciò gli permette di accettare un emozione
“sgradevole”. Mi piace citare Barbara Fabbroni quando dice“ la fiaba è
terapeutica perché il bambino trova le proprie soluzioni meditando su quanto la
storia sembra implicare nei suoi riguardi e circa i suoi conflitti interiori in
quel momento della sua vita” (Fabbroni, 2011). La paura non riguarda solo
qualcosa, ma anche e soprattutto il timore di essere soli davanti a qualcosa è
per questo che sia la fiaba che il gioco necessitano della presenza
“dell’altro” narratore. Spesso gli adulti, sia genitori che educatori, si
chiedono se raccontare le fiabe, come se queste provocassero la paura, ma in
realtà esse non la suscitano ma la
rappresentano. Le fiabe sono storie di vita e raccontano quello che ci accade
nella vita e parlano anche e sopratutto di possibilità e di cambiamento,
insegnano che si può superare la paura. La fiaba arriva subito, perché parla il
linguaggio stesso del bambino, che non è realistico, ma figurato; in secondo
luogo, gli parla di ciò che lo interessa: del mondo intorno, dei conflitti che
sente, degli adulti prima buoni e poi "cattivi". Infine gli mostra un
mondo pieno sì di pericoli spaventosi, ma anche di giovani eroi spesso inizialmente
piccoli/poveri/maltrattati che alla fine ce la fanno (Bettelheim,1977).
Riassumendo un adeguato supporto
adulto può esplicarsi attraverso i seguenti comportamenti:
1) Accogliere la paura: L’accoglimento di cui parliamo è quello
descritto da Winnicott (Winnicott, 2006) e che consiste in tre processi
fondamentali. Il primo è la holding (comprende l’accettazione dell’altro e la
capacità di contenerlo nel corpo e nella mente ascoltandolo e proteggendolo).
La seconda fase è quella dell’handling (fa riferimento alla capacità di avere
cura ed accudire il bambino trasmettendo la propria esperienza anche rispetto a
ciò che è sicuro oppure no). L’ultimo passaggio infine comprende la capacità di
object presenting ovvero la volontà di introdurre il bambino nel mondo
valorizzandolo e promuovendone le capacità necessarie a muoversi autonomamente
in esso.
2) Ascoltare la paura: Non bisogna cercare immediatamente una
soluzione, ma sopratutto rispondere emotivamente al sentire del bambino.
3) Educare alla paura vuol dire invitare alla prudenza senza
iperproteggere.
4) Non si educa attraverso la paura e le minaccia, ciò al
contrario produce uno stress relazionale che danneggia il bambino e la sua
capacità di fidarsi ed affidarsi agli adulti
Bibliografia
Benini e Malombra, Le fiabe per
vincere la paura, Franco Angeli, Milano2010
Bettelheim B., Il mondo
incantato,Feltrinelli, Milano,2008
Binetti, Ferrazzoli, Flora , Ho
paura Che cosa spaventa i bambini: un modo per conoscere e capire le loro
paure, Edizioni Magi, Roma, 1999
Christophe A., Chi ha paura della
paura, Tea Edizioni, Milano, 2007
Damasio Antonio, Alla ricerca di
Spinoza, Adelphi Edizioni, Milano. 2003
Fabbroni Barbara, I bambini e la
paura, Edizioni Universitarie Romane, Roma,2011
Kast Verena, Le fiabe di paura,
Red Edizioni, Milano, 2007
Mastromarino Raffaele, Prendersi
cura di sé per prendersi cura dei figli, Ifrep, Roma, 2000
Mortari Luigina, La pratica
dell’aver cura, Bruno Mondadori, Milano,2006
Oliviero Ferraris Anna,
Psicologia della paura, Bollati Boringhieri, Torino, 2007
Preushoff Gisela, Come capire e
risolvere le paure dei bambini, Red Edizioni, Como,1988
Scaparro Fulvio, Dieci lezioni
sull’infanzia e sull’adolescenza, Edizioni Vita e pensiero, Milano,2003
Steiner Claude, L’alfabeto delle
emozioni. Come conquistare la competenza emotiva,Sperling e Kupfner Editori,
Milano, 1999
Sunderland Margot, Aiutare i
bambini che hanno paura, Edizioni Erikson, Trento, 2004
Winnicott Donald, Gioco e realtà,
Edizioni Armando Editore, Roma,2006
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