Interno, sera, ai tavoli di una pizzeria: tre famiglie con bambini
della primaria. I genitori: “Ma hai
visto che non fanno ancora le operazioni a mente? Secondo me stanno indietro!
Le maestre di una volta, quelle all’antica, sì che ci sapevano fare… A 10 anni
facevamo i compiti da soli… Sono in quinta, ma è come se fossero in seconda,
hai visto come scrivono e leggono? Come faranno alle medie?”.
Esterno, giorno, ai giardini, due nonni con bimbi di scuola
dell’infanzia: “Hai visto quante cose sa? E
come parla… E come è intonato!? Eh, ai nostri tempi, mica sapevamo tutte quelle
cose. Neanche mio figlio, mi sembra fosse così sveglio. Imparano tutto,
rapidamente, incredibile… E l’inglese? E la musica? Mio nipote ha una marcia in
più…”.
Due istantanee. Bambini diversi? No, sono gli stessi che poi
troviamo nelle aule, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado. Da un
lato, sembrano precorrere le tappe, sanno tutto prima rispetto che in passato;
sono svegli, intuitivi, rapidi. Dall’altro, in prima alla primaria sembrano
bambini da scuola dell’infanzia, alla secondaria sembrano rimasti alle
primarie, in prima liceo sono immaturi, in terza superiore sono ancora dei
“primini” e all’università pare non abbiano fatto le superiori!
A leggerla con la metafora dell’Emilio di Rousseau, sembra che allo stato naturale siano dei geni ma
incasellati nella scuola perdano colpi, sin dall’infanzia. Quanti bimbi, che i
genitori raccontano come bambini con una marcia in più a casa, sembrano
perdersi a scuola?
Un libro di quindici anni fa di Claudio Volpi e Daniela Silvestri,
intitolato Bambini e maestri nel villaggio
globale (Editoriale BM, 1999), esponeva una sintesi
efficace del fenomeno che oggi vediamo pienamente compiuto: il bambino adulto.
I mass media, i bisogni, le risposte del mondo che ci circonda disegnano
un’infanzia a due facce: anticipazione della vita adulta e prolungamento della
condizione infantile di irresponsabilità. A pagina 15 leggiamo: “Tra le cose antiche e nuove che comporta l’essere bambino oggi
se ne possono stralciare tre: a) bisogno accelerato di informazione; b) bisogno
di apprendimento puntuale di comportamenti; c) bisogno di intravedere ciò che
costituisce l’umano. Sono bisogni antichi che, calati e tradotti nei termini
coniati delle complessità dell’ambiente socio culturale in cui siamo, prendono
una fisionomia inedita”.
Se la prima cosa è quanto di più facile, la terza tocca una
consapevolezza che non è comune in età infantile, alla seconda come si può dar
risposta? È la strada più faticosa, ma l’equilibrio tra una fuga in avanti del
bambino, data dalla molteplicità (e semplicità) di informazioni cui accedere, e
un cammino a gambero, di fronte alle richieste dell’approssimarsi all’età dello
sviluppo, è l’unica chiave di volta. Un equilibrio che si nutre di
comportamenti degli adulti. Può sembrare antico, ma la cura di se stessi, della
famiglia, del proprio lavoro, dei propri impegni, senza nascondere la fatica
quotidiana che tutti anima, sono aspetti da mostrare, per farci osservare,
“studiare” in quell’apprendimento inconsapevole ed efficacissimo che scaturisce
dal comportamento... eroi quotidiani della responsabilità.
Nessun commento:
Posta un commento