Ripensare lo
spazio, allestire il contesto, aggiungere o togliere materiali e strumenti
rimanda alla nostra idea di bambino, di ruolo dell’educatore, ai nostri
riferimenti culturali, rimette in gioco conoscenze, aspettative, stereotipi e
ansie!
I bambini si fanno
male, i bambini devono essere controllati perché non sono capaci di gestire
alcuni strumenti, non possono giocare con alcuni materiali perché sicuramente
ne fanno un uso errato con il rischio di fare del male a sé o ad altri…
Talvolta ci diciamo che non è possibile mettere a disposizione le forbici, che
per mangiare non si possono dare le forchette d’acciaio o che, per quanto ne
potesse dire Elinor Goldschmied, molti dei materiali presenti nel cestino dei
tesori sono tutt'altro che sicuri, primi tra tutti castagne, catene e
specchietti!
A partire da
queste incertezze e perplessità si aprono domande sull'adeguatezza di quanto
dato ai bambini (un certo materiale è sicuro?), sulle organizzazioni che
permettono di utilizzare alcuni strumenti (quante educatrici sono presenti
quando ai bambini vengono lasciati i colori o le forbici?), sulle
caratteristiche dei bambini che consentono certe sperimentazioni (quali
competenze hanno i bambini quando vengono lasciati liberi di muoversi
autonomamente all'interno di laboratori o in spazi in cui siano presenti
scale?) e, soprattutto, si aprono – o meglio dovrebbero aprirsi – domande su se
stessi e sulle proprie idee di educazione. Ecco quindi che forse le questioni
più appropriate da porsi potrebbero essere: me la sento di farli provare? Posso
pensare che le mie aspettative siano afferenti all'area dell’immaginario e
dello stereotipo e non necessariamente dati di realtà? Sento di voler vedere
oltre idee preconcette tali per cui il controllo deve farla da padrone rispetto all'accompagnamento e alla progettazione? Decido di voler rischiare? Decido di scegliere pensando ai bambini che ho di fronte e a una idea di educazione atta
a sostenere l’autonomia?
Parlare di
educazione significa necessariamente parlare di autonomia, nel senso di
sostenere l’autonomia dei soggetti nel riconoscere i propri limiti, le proprie
risorse, i propri saperi e le possibili strategie che ciascuno mette in campo.
Significa altrettanto cogliere l’imprevisto nella molteplicità di significati e
di possibilità. Infine, comporta partire dalla capacità di cambiamento che
hanno le persone per arrivare a un ulteriore cambiamento.
Far questo vuol
dire forse assumersi dei rischi progettati relativamente al ruolo
dell’educatore e all’idea di bambino: “La
relazione tra il progettista di un intervento, gli operatori e i destinatari
dell’intervento stesso costituisce un rapporto di potere in cui si realizza
un’influenza decisionale ambita da scelte di fondo e valori di riferimento, e
che richiede l’assunzione di responsabilità e la consapevolezza delle proprie
azioni” (D. Felini, R. Trinchero, a cura di, Progettare la media education, Franco Angeli, Milano, 2015).
“Il bambino
è spesso visto come un piccolo scienziato che, esplorando il mondo, scopre i
principi del suo funzionamento. A volte ci dimentichiamo che, mentre lo
scienziato lavora ai limiti della conoscenza umana e scopre cose che nessuno
ancora sa, il bambino scopre esattamente quello che tutti già sanno” (B. Rogoff, Imparando a
pensare, Raffaello Cortina, Milano, 2006).
Pensandoci, forse, i bambini possono usare le forbici!
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