C’erano una volta gli angoli morbidi, i
tappetoni, gli spazi aperti, i cuscini, i divisori mobili, le tende per creare
altri ambienti. E c’erano anche gli atelier dedicati, con strumenti, arredi,
luci e colori a dimensione di bimbo e di esperienza cognitiva, dove era
possibile integrare le crea-zioni dei laboratori e dove l’inclusione era nelle
cose.
Poi venne il patto di stabilità e la legge sulla sicurezza, le tende
ignifughe brutte, scure, pesanti; i tessuti divennero non a norma, le moquette
illecite. Per carità, non fraintendetemi, tutto estremamente doveroso per chi
ha responsabilità nella scuola, dalla maestra al dirigente; ma non vi sembra di
vedere in giro sempre più seggioline e tavoloni, sezioni “fisse” (qualche volta
con porte chiuse e di dimensioni anche ridotte) quasi come classi della
primaria, colori neutri come fosse un mobilificio? Forse esagero, ma sarebbe
paradossale, in un momento in cui la scuola “dei grandi” scopre il valore
aggiunto degli spazi per insegnare/apprendere, che l’infanzia, corpo e spazio,
li abbandonasse a favore di una tendenza alla “elementarizzazione” delle
pratiche, cioè a una “compostezza” di ambienti e bambini poco adatta allo
sviluppo dell’immaginazione e della creatività. Un fenomeno singolare che vede
un doppio canale: le età infantili crescere troppo presto, quelle
adolescenziali non crescere mai.
Quindi per gli ambienti... al di là dei
cataloghi dei fornitori (spesso standardizzati nei loro prodotti per rispondere
alla partecipazione a bandi talvolta uniformi anche in territori diversi)
qualche coordinata può servire. Le Linee guida per l’edilizia scolastica del
MIUR del 2013 comprendono alcune parole d’ordine. La fluidità degli spazi per il movimento e l’incontro dei
bambini con luce, suoni e natura; la versatilità
che indica i molteplici usi di un ambiente didattico; la convertibilità che significa sostenibilità e possibilità di
mutare gli spazi in scenari futuri; la scalabilità che
permette di ingrandirli e ridimensionarli a seconda dei gruppi; la modificabilità che indica il grado e la
possibilità di appropriarsi dello spazio (muri da dipingere ecc.) da parte dei
bambini.
Prima di tutto però un’idea! Lo so che è
scontato, ma anche i pochi studi esistenti a proposito dell’impatto degli
ambienti su un’esperienza di apprendimento positivo dicono che il fattore
metodologia e il fattore docente mitigano o enfatizzano lo spazio più
innovativo o quello più tradizionale. Come a dire che un autista mediocre poco
ci ricava dall’avere tra le mani un bolide e un grande pilota (come mi auguro
siate tutti voi insegnanti ed educatori lettori di “Bambini”) è capace di far
ben figurare anche un macinino.
Un ultimo suggerimento: le scatole creative.
Possederne sempre qualcuna può essere utile per trasformare un ambiente
“normale” in un’orchestra, un teatro, un mini-laboratorio di scienze (perché no
di digitale). Già perché l’ambiente si può trasformare con interventi di
sistema, ma anche da dentro gli spazi possono trasformarsi in qualcos’altro.
L’importante è che gli ambienti siano pensati per accompagnare un
processo, una narrazione, un viaggio. Insomma bisogna provarci a costruire
nuovi ambienti a scuola per raccontare nuove storie. Giusto per non dimenticare
l’estate, come dice la canzone “per quanta strada
ancora c’è da fare... Amerai il finale”.
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