Domandando si impara
di Elisabetta
Marazzi
Un nuovo anno
educativo ha da poco preso avvio ed ecco che alcuni interrogativi sembrano
tornare con l’incertezza che li accompagna… Quali attività ipotizziamo per
quest’anno?
Quali esperienze faremo fare ai bambini? Potremmo forse proporre
loro dei percorsi sulla natura o sull'alimentazione? Quali laboratori? Quale organizzazione rispetto alle differenti attività della settimana? O, ancora,
che tipi di incontri possiamo pensare per i genitori?
Sentiamo quasi il
bisogno di sapere esattamente e in anticipo tutto quello che dovrà accadere
durante l’anno… un tema per ogni mese che ci accompagni dandoci sicurezza, sia
rispetto a quello che possiamo fare noi sia rispetto a quello che possiamo
raccontare ai genitori nel corso delle prime riunioni quando ci chiedono: “Cosa
farete?”.
Sembra che l’essere
in una posizione di pensata attesa e che stare dentro il contesto e la
relazione educativa attraverso una sana lentezza non sia consentito.
Allora forse si
tratta di fermarsi un attimo per assumersi la responsabilità delle proprie
scelte e per agire consapevolmente adottando la metodologia progettuale: non è
solo “il futuro” il tempo a cui si deve guardare; nel progetto, infatti, vi
sono “un momento
presente, di ideazione qui e ora, […] un momento futuro, nel quale l’attività
viene avviata e se ne valuta la realizzazione nei limiti delle possibilità, […]
un momento passato, relativo al vissuto da cui scaturisce quell'ideazione particolare specifica” (W. Brandani e M. Tomisich, La progettazione educativa. Il lavoro sociale nei contesti
educativi, Carocci, Roma,
2005).
Siamo quindi
chiamati a riprenderci il ruolo di ricercatori poiché “un’indagine empirica è un formidabile strumento di ascolto di una realtà, una modalità per conoscerla e per farla
conoscere, per dare voce a soggetti che altrimenti non avrebbero occasione di
esprimere la propria posizione. In questo senso far ricerca empirica è
espressione dell’arte di ascoltare: ascoltare per capire, per conoscere, per
acquisire consapevolezza (e farla acquisire ai soggetti della ricerca) e poter
così prendere decisioni informate per intervenire su una realtà e migliorarla” (D. Robasto, La ricerca empirica in educazione.
Esempi e buone pratiche, Franco Angeli, Milano, 2014).
Osservare e
ascoltare per conoscere, rilanciare, aprire, indagare e proporre con la
tranquillità di poter andare avanti su una strada ipotizzata ma anche con la
certezza di poter percorre nuove e differenti piste rispetto a quelle pensate
all’inizio.
Accogliere questa
prospettiva vuol dire anche riuscire a rileggere il concetto di prestazione per
l’educatore, il bambino, la famiglia e il contesto sociale che ci circonda:
tutti, in egual modo, sperimentano che la prestazione non si misura in
relazione al prodotto finito quanto rispetto alla possibilità del processo di
essere sperimentato e valorizzato. In particolare i bambini hanno l’occasione
di assumere un modello osservando le azioni pensate degli adulti.
Fermarsi, aspettare,
decidere in itinere e non all'inizio dell’anno educativo (se non prima)
significa scegliere e, soprattutto, scegliere di mettere il bambino al centro
del nostro fare e pensare educazione, vuol dire optare per un’offerta che sia
una sfida, un rilancio continuo, condividendo costantemente con le famiglie le
ragioni delle nostre scelte affinché le famiglie stesse possano divenire parte
attiva di un processo e di apprendimenti in cui emerga l’intenzionalità
educativa sottesa a un’attenta progettazione.
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