Ho letto recentemente il rapporto della rete Eurydice
sulla scuola dell’infanzia in Europa (Key data on Early Childhood Education and
Care in Europe, 2014), uno spaccato interessante di un duplice atteggiamento
dei Governi europei:
un forte interesse, al di là della soluzione individuata,
per la prima infanzia e per i curricula 0-6 e, al contempo, la difficoltà ad
assicurare una qualità rilevante in epoca di crisi e riduzione della spesa a
fronte di costi elevati.
Accesso
e qualità in Europa presentano molte variabili (chi li organizza, secondo quali
modelli e curricula) e diverse scelte (privilegiare la cura o l’educazione,
inserire già nel curricolo di istruzione).
Per l’accesso
colpiscono due dati. Nell’Unione Europea a 28 Paesi il 93% dei bambini sopra i
4 anni è inserito in un percorso di preistruzione mentre, all’opposto, solo il
30% al di sotto dei 3 anni accede a una struttura pubblica o convenzionata per
la primissima infanzia. Dati tutto sommato comprensibili se si pensa alla
diffusione della cura casalinga in molte realtà e alla possibilità estesa dei
congedi parentali in molte altre. Un filo rosso accomuna questi numeri. In
entrambi i casi la scelta è più di carattere sociale che di carattere
educativo. Per dirla meglio, mandare i bambini a scuola sin da piccolissimi è
un’esigenza legata al lavoro dei genitori più che alla convinzione, seppur
esistente, che il percorso educativo debba cominciare presto. E questo non solo
nella “mammona” Italia. Specularmente per i decisori e per chi progetta i
curricula vi è la difficoltà di fare una giusta media tra cura ed educazione,
tra assistenza ai bisogni primari e costruzione di progetti educativi; un
equilibrio che pende per la prima nei primi anni, ma che comunque è costate in
tutte le scelte pedagogiche dei Paesi analizzati.
Rendere
i percorsi per l’infanzia veri percorsi educativi segue, quindi, principalmente
due strade. L’innovazione nei curricula, come nelle nostre Indicazioni che in questo senso possono fare scuola,
anche se lo iato tra i documenti e la realtà non sempre dà ragione di «pensate»
illuminate. E l’obbligatorietà di almeno un anno di scuola 0-6, fenomeno che
ancora nel 2013 vedeva Croazia, Italia, Lituania, Romania, Slovacchia, Islanda
e Turchia al palo, anche se, nel contempo, Croazia e Romania recentemente hanno
scelto di rendere obbligatorio un anno di pre-primaria.
Il
vero nodo, però, sottolinea la ricerca, anche per dare senso e obbligatorietà
all’azione, è la qualità dei docenti, sia per quanto riguarda il titolo di
provenienza e la qualificazione tramite concorso e formazione. Con una
differenza sull’utilizzo di personale più qualificato generalmente a partire
dai 3 anni e un focus sull’orario di servizio rapportato al numero dei bambini
assegnati. Due
aspetti su cui riflettere, perché se è vero che una tradizione di cura spinge a
ritenere meno necessarie competenze avanzate, e anche vero che, per esempio, la
conoscenza dei fondamentali delle neuroscienze potrebbe aiutare molto le
maestre nella comprensione delle potenzialità sin dall’età infantile. Senza
dimenticare che non sarebbe corretto parametrare numeri e orari per il ciclo
dell’infanzia senza tenere conto della delicatezza dei compiti. Forse le recenti
e, purtroppo ricorrenti, cronache di violenze perpetrate dalle maestre
dovrebbero dirci qualcosa...
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