lunedì 14 ottobre 2013

Il protagonismo dei bambini.L’educazione al rischio.

A cura del Coordinamento pedagogico di Torino. Testo redatto  da: Giusi Marrella, Maria Antonietta Nunnari, Luciana Pellizzoni, Claudia Regio, Vincenzo Simone e Maria Grazia Tiozza. Per contattare gli autori: cit.educ@comune.torino.it. Pubblicato sulla rivista bambini del Marzo 2013. Qui il link diretto per l'articolo completo.

“Dovremmo insegnare ai bambini a danzare sulla fune, a dormire di notte da soli sotto un  cielo stellato, a condurre una barca in mare aperto. Dovremmo insegnare  loro ad  immaginare  castelli in cielo, oltre che case sulla  terra, a non sentirsi a casa se non  nella  vita  stessa ed a cercare la sicurezza dentro  se stessi”
(H.H. Dreiske)
  
La riflessione  sui processi di trasformazione che caratterizzano il nostro tempo, proposta in questi mesi di collaborazione con “Bambini” quale chiave di lettura delle progettualità dei servizi per l’infanzia torinesi, sollecita ulteriori questioni. 


Appare più che mai necessario interrogarci sul futuro dei bambini che crescono nei nostri servizi, chiedersi con Meirieu,  “Quale mondo  lasciamo  ai bambini? quali bambini lasciamo a questo mondo?”1, o più precisamente, come aiutiamo i bambini a crescere nella relazione con l’ambiente in cui si intrecciano autonomia e dipendenza, libertà e limite e anche rischio e protezione? Come sottrarre l’infanzia dall’abbraccio soffocante dell’iper - protezione?

Difendersi dai pericoli e  misurarsi con i rischi

La relazione con l’ambiente, a cui molte delle esperienze delle nostre scuole sono orientate, sollecita a confrontarsi con la pedagogia del rischio. Una pedagogia  che riconosce il valore formativo a esperienze che incontrano il limite, la fatica, la sconfitta e talvolta anche il dolore, elementi costitutivi della nostra umanità. Nonostante le nostre società abbiano raggiunto un livello di benessere molto più alto che in passato, invece di accrescere la fiducia nel futuro, l’aumento dei beni e della conoscenza ha moltiplicato l’incertezza. Zygmunt Bauman nota come nei Paesi sviluppati  “contrariamente alle prove oggettive, siamo proprio noi tanto vezzeggiati e viziati,  a sentirci più minacciati, insicuri e spaventati, più inclini al panico e più interessati a tutto ciò che riguarda l’incolumità  e la sicurezza,  rispetto alla maggior parte delle altre società conosciute2.
Questa riflessione riguarda anche l’atteggiamento nei confronti dei bambini nella nostra società, cui non mancano beni materiali, né esperienze, né adulti di riferimento, ma che sono a volte protetti in maniera ossessiva, in un mondo caratterizzato dalla cultura dell’apprensione, a costo di sacrificarne, soprattutto nel confronto con altre culture non occidentali, l’autonomia personale e sociale. Un ruolo fondamentale nel determinare l’amplificazione della percezione del rischio è giocato dall’informazione (il suo volume, il livello di drammatizzazione con cui è presentata, il grado di incertezza che la caratterizza, il suo valore simbolico), ma anche da una serie di altri fattori, i valori individuali e sociali, (il valore di allarme che un determinato pericolo riveste…). Dovendoci fidare del giudizio degli altri siamo portati a fidarci di coloro che condividono con noi un comune sistema di valori. A differenza  del pericolo,  che è oggettivo e viene dall’esterno, il rischio che “si corre” è legato a dimensioni di incertezza e imprevedibilità dell’esperienza ma anche al gusto della sfida, al desiderio di mettersi alla prova, all’affermazione del proprio protagonismo. Si tratta di scoprire, indagare e problematizzare il mondo “entrando nella vita” attraverso  eventi e situazioni che sollecitano curiosità, domande e mettono in gioco mente e corpo: emozioni, sensazioni, percezioni, creatività, capacità e limiti fisici.
Tutto  ciò  favorisce l’acquisizione  di un’immagine realistica di sé e delle proprie potenzialità in relazione non solo al rischio fisico (il farsi male) ma anche al rischio cognitivo ed emotivo (il rischio di sbagliare, di trasgredire, di entrare in conflitto, di affrontare il cambiamento). “Certamente – come dice Tonucci – non si può educare al rischio insegnandolo.  Occorre incontrarlo, conoscerlo, superarlo. Ciascuno  deve farlo per sé, con le sue forze. D’altra parte di una cosa possiamo essere sicuri: il bambino non è mai un aspirante suicida o anche solo masochista, il rischio che affronta  è sempre  proporzionato  alle sue capacità e possibilità e lo affronta perché è necessario al suo piacere”. La prospettiva del rischio pone pertanto i bambini, e prima ancora gli adulti, in una condizione di straordinaria responsabilità, in quanto autori critici e riflessivi delle proprie e altrui esperienze di crescita. Responsabilità che frequentemente viene evitata ed elusa dagli adulti ricorrendo a divieti e prescrizioni che, per proteggere, negano esperienze.

Sicurezza ed educazione al rischio: quali possibili alleanze

È noto come una delle principali preoccupazioni per le famiglie sia la sicurezza dei propri figli.  Preoccupazione amplificata da notizie di cronaca riguardanti lo stato di degrado di alcuni edifici scolastici, in particolare degli ordini di scuola superiori. Ma l’attenzione è giustamente puntata verso la garanzia di condizioni di sicurezza massime, per gli allievi e per i lavoratori, disciplinate da corpus legislativi appositi. Il concetto di  sicurezza rappresenta spesso una forte limitazione alle progettualità nei servizi. Non raramente sentiamo affermare che “per motivi di sicurezza” un’attività didattica non può aver luogo.
Questa enfasi sulla sicurezza, che è assolutamente  giustificata nei suoi principi, e le cui disposizioni sono doverosamente rispettate nei servizi,  rischia non solo di impoverire le opportunità formative, ma anche di non far cogliere la differenza tra pericoli e rischi. Occorre dunque operare tra il rigore normativo, che negli ultimi decenni ha contribuito a migliorare le condizioni e le tutele dei diritti dei lavoratori e il diritto a rischiare in quanto “valido alleato dei processi educativi e formativi”3.

Tale logica porta a una pedagogia del rischio che suggerisce di superare il concetto di norma per arrivare alla persona, di fare sicurezza in modo consapevole, di riflettere insieme sull’esperienza senza focalizzarsi solo su procedure rigide. Questo richiede di condividere responsabilità tra le diverse figure professionali che si occupano di sicurezza e di educazione  all’interno delle scuole (urbanisti, architetti, responsabili  amministrativi, pedagogisti, insegnanti) trovando mediazioni che tengano insieme sicurezza e orizzonti educativi di senso. Vorremmo  dunque proporre un confronto tra tutti i professionisti dell’educazione e della cura della prima infanzia, con gli operatori della sanità, con i genitori e le persone interessate su quanto l’educazione  al rischio sia un aspetto fondamentale per imparare a mettersi alla prova, a riconoscere i propri limiti, a sapersi muovere e orientare nel mondo. L’educazione al rischio non è incompatibile con l’educazione alla sicurezza a cui va attribuito, come ormai è chiaro, valore in quanto insieme di comportamenti di protezione da pericoli esterni. Questo tema sarà sviluppato negli incontri, rivolti anche alle famiglie, che con la collaborazione del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia del Piemonte, proporremo nei nostri servizi, con l’obiettivo di suscitare dibattito, approfondire riflessioni e confrontare esperienze. Siamo dell’idea che i bambini abbiano il diritto di crescere in una realtà che non sia ovattata, artefatta, caratterizzata da un mondo di plastica a norma, di spazi curvilinei e senza spigoli, di alberi senza radici affioranti, fonti di possibili inciampi, e che si debba invece educare al rischio attraverso la conoscenza e l’esperienza  autentica connotata da scoperte, esplorazioni,  sperimentazione. Il rischio è insito nella vita stessa. L’importante è offrire ai bambini contesti di vita, “palestre di allenamento”, dove gli adulti, pronti a intervenire se necessario, riconoscano loro possibilità d’azione, capacità di autodeterminarsi e di mettersi alla prova.
La stessa capacità di gestire i rischi, infatti, implica la possibilità  di poter incontrare situazioni di potenziale pericolo e anche di potersi sperimentare più volte per accrescere le nostre abilità nell’evitarlo o nel superarlo.
Nelle nostre culture sempre più virtuali e seduttive si rischia di limitare le esperienze di esplorazione  dell’ambiente  a favore dell’aspetto simbolico e astratto. Si rischia cioè di perdere di vista un elemento di vitale importanza nel processo evolutivo  che è quello dell’esperienza nella sua globalità: le esperienze tattili e motorie che rappresentano il punto di partenza per la maturazione  delle aree superiori di linguaggio e pensiero.
Tutto ciò è coerente con quanto dichiarato nelle finalità delle nuove Indicazioni nazionali  per il curricolo  della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione che fanno riferimento a vari ambiti di indagine pedagogica  che devono essere assunti nella loro interdipendenza e trasversalità: si è autonomi se la nostra identità è consolidata, riconosciuta e accettata, se riusciamo a esprimere i nostri sentimenti senza esserne sopraffatti, se ci mettiamo in dialogo con gli altri, se ci appropriamo della nostra esperienza e delle nostre azioni con riflessività, se sappiamo esprimere,  rappresentare attraverso la pluralità dei linguaggi noi, gli altri e il mondo che ci circonda.
Si può dunque essere certi che i bambini cresceranno comunque, anche in un ambiente povero di stimoli, con giocattoli di plastica, tappeti e spigoli arrotondati; ma è altrettanto vero che, se si semplifica e si riduce la loro possibilità di essere in contatto con gli elementi naturali, gli esseri viventi, la varietà degli ambienti, le possibilità di agire di un contesto vario, si preclude loro la possibilità di acquisire alcune abilità come la capacità di far fronte agli imprevisti senza destrutturarsi, l’iniziativa e il protagonismo di trovare soluzioni innovative alle varie questioni che la vita degli esseri umani sempre pone.


1 P. Meirieu, Lettera agli adulti sui bambini di oggi, Edizioni Junior-Spaggiari edizioni, Parma, 2012, p. 33.
2  Z. Barman,  Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Laterza, Roma, 2007, p. 61.
3  A. Garbarini,  M.A. Nunnari (a cura di), I diritti delle bambine  e dei bambini,  atti del Convegno nazionale Torino 2010, Edizioni Junior, Azzano S. Paolo (Bg), 2010.

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