mercoledì 26 novembre 2014

Alla scoperta di Sasso Morelli di Sandra Cevinini e Elisa Allegri. Un approfondimento.

Pubblichiamo questo commento di approfondimento, ricevuto in redazione a riguardo dell'articolo pubblicato sulla rivista nell'ottobre 2014. 



Ho trovato particolarmente interessante questo percorso per diversi motivi che ora cercherò di evidenziare. Per prima cosa mi è piaciuto molto lo stile narrativo (ma sempre in dialogo con i presupposti di senso), usato dalle colleghe di Sasso Morelli, per raccontare l'esperienza. Sono un po’ ….entrata nel vostro paese e me lo sono rappresentata, percependo (o forse solo immaginando) la dimensione umana del posto.
E venendo alle motivazioni che  hanno ispirato il percorso, condivido pienamente l’attenzione alla dimensione di socialità della scuola. Ma una socialità attiva che esce dalle “stanchezze” dei momenti codificati per rendere invece effettivo e circolare il dialogo scuola-famiglia-territorio.
E, in seguito, la scelta educativa su come elaborare il senso  della scoperta del proprio paese, attraverso la  didattica laboratoriale.
Anche nella mia scuola l’attenzione ai laboratori, alle proposte rivolte ai genitori hanno sempre rappresentato un punto rilevante dei nostri percorsi, ma  la costruzione messa in atto dalle colleghe di Imola, mi sembra particolarmente pensata. L’aspetto di “sedimentazione” del primo approccio laboratoriale, poi ricalibrato coinvolgendo bambini e genitori  nell’ideazione (oltre che nella partecipazione), mi sembra un punto qualificante e per niente scontato.
E poi, a ricaduta, gli spazi della scuola che diventano flessibili e permettono ai bambini di riappropriarsi dell’esplorazione del proprio paese e di metabolizzare “a più voci” le conoscenze e le competenze acquisite.
In conclusione, grazie per la “naturalezza” del racconto, per la ricerca di senso, i contesti pensati e il lavoro a più mani.
Riprendo la frase ispiratrice del vostro percorso “ l’uomo è per sua natura un essere sociale” e penso: quanto senso civico, quanta democrazia possiamo (o non) respirare nelle nostre scuole?
Natalina Colturi

mercoledì 5 novembre 2014

Riforme in corso - ottobre 2014. CRESCERETE E LA CARTA DELLA QUALITÀ DEI SERVIZI EDUCATIVI DELLE COOPERATIVE SOCIALI LEGACOOP

Crescerete è il nome del gruppo di lavoro delle cooperative sociali aderenti a Legacoop che si occupano di servizi 0-6. È un gruppo di lavoro composto da oltre 150 cooperative delle diverse realtà regionali che si incontrano tre-quattro volte all’anno e mantengono costanti relazioni e confronti tramite la rete.


Un gruppo di lavoro che già da tre anni organizza nel mese di luglio incontri di due giorni con diversi interlocutori presentando idee, riflessioni, proposte. L’incontro di quest’anno è stato dedicato alla proposta di legge 1260, mentre lo scorso anno la riflessione era centrata sui temi della qualità perché, dopo molti appassionati e costruttivi confronti, le cooperative sociali hanno condiviso la Carta della qualità dei servizi educativi delle cooperative sociali aderenti a Legacoop-Crescerete.
Non è stato facile costruire la Carta della qualità. Il confronto fra grandi e piccole cooperative, fra diversi modelli e approcci pedagogici, ma più che altro fra le diverse realtà territoriali hanno regalato ai partecipanti la possibilità di comprendere la ricchezza della diversità e delle varie specificità. Contemporaneamente, i confronti hanno evidenziato le difficoltà di costruire modelli e indicazioni stringenti e omogenee considerando che le diverse realtà regionali economiche e sociali condizionano la realizzazione dei servizi rivolti alla prima infanzia e le azioni dei soggetti gestori.
Da Dobbiaco a Lampedusa, passando dall’Emilia, la Toscana, Roma... grazie al contributo e alle testimonianze delle varie cooperative ci si è resi conto, che in assenza di una legislazione nazionale e di risorse certe dedicate ai servizi, la qualità dei servizi è un concetto molto “aperto”. Per questo motivo abbiamo inteso la Carta della qualità come un’indicazione a perseguire gli obiettivi identificati nelle nove diverse tematiche senza entrare troppo nel merito di stringenti indicazioni, peraltro molto spesso presenti nelle diverse legislazioni regionali.
Le nove tematiche sono:
·         cooperare per costruire comunità;
·         il lavoro di comunità per promuovere la coesione sociale;
·         la centralità del bambino;
·         la qualità della relazione adulto-bambino;
·         spazi adeguati per esperienze educative;
·         la strategia del lavoro di équipe;
·         formarsi nel tempo per educare;
·         la presenza del coordinatore pedagogico-gestionale;
·         l’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro.
Nei prossimi mesi, anche grazie a questo spazio e a quello del blog, i diversi partecipanti al gruppo di lavoro proporranno riflessioni specifiche sui singoli temi nella consapevolezza che le tematiche legate alla qualità necessitano di confronti e di aggiustamenti costanti.


Pensieri senza frontiere - ottobre 2014. BELLEZZA E ACCESSIBILITÀ: UNO SGUARDO DA NORD. II parte

Nima Sharmahd
Senior Researcher presso  il Centro VBJK di Gent (Centre for Innovation in the Early Years) e Cultrice della materia presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze


L’espressione “dittatura della qualità” mi è rimasta impressa nella memoria, anche perché strettamente legata al tema dell’accessibilità dei servizi. 

Pensieri in libertà - ottobre 2014. INFANZIA DIGITALE? NO, GRAZIE.

Cinzia Mion

Psicopedagogista, psicologa e formatrice; già dirigente scolastica e già componente della Commissione Pari Opportunità donna-uomo del Ministero della Pubblica Istruzione


È di un paio di anni fa il bel manifesto provocatorio del maestro elementare Franco Lorenzoni, coordinatore della Casa laboratorio di Cenci, inviato all’allora sottosegretario Rossi Doria, dal titolo “Fino a otto anni scuole libere dai computer”. A questa lettera aperta, ricca di argomentazioni psicopedagogiche, rispose Rossi Doria con una lettera-saggio: “Costruiamo aquiloni e navighiamo nel web” in cui si raccomandava in modo molto suggestivo l’uso delle “mani che pensano”, come ama definirle Clotilde Pontecorvo.

martedì 30 settembre 2014

Riforme in corso - settembre 2014. L’IMPATTO DELLA “1260” E DELLE LINEE GUIDA NEI SERVIZI PER LA PRIMA INFANZIA

Alberto Alberani
Referente Area Infanzia Legacoopsociali


L’attività del Governo Renzi può essere diversamente valutata ma un punto fermo è certo: la quantità di riforme proposte impone il ripensamento delle situazioni attuali e richiede la previsione di scenari futuri. Anche il settore dei servizi rivolti alla prima infanzia non ne è esente. La proposta di Legge 1260, le linee guida del terzo settore, la garanzia giovani, la riforma delle Pubblica Amministrazione e la riforma della scuola si intrecciano fra loro e prefigurano scenari che è necessario prevedere evitando di subirli.
La Legge 1260 è sicuramente la proposta maggiormente significativa, una vera e propria rivoluzione positiva che porterebbe enormi benefici ai bambini italiani che finalmente avrebbero diritto, al di là del luogo di nascita, a servizi adeguati e omogenei. Una sfida importantissima per coloro che a diverso titolo si occupano di queste tematiche e che sono chiamati ad accantonare i particolari interessi pensando invece ai positivi effetti di questa proposta. 


Pensieri senza frontiere - settembre 2014. BELLEZZA E ACCESSIBILITÀ: UNO SGUARDO DA NORD.

Nima Sharmahd
Senior Researcher presso  il Centro VBJK di Gent (Centre for Innovation in the Early Years) e Cultrice della materia presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze

“Una lettera dalla Venezia delle Fiandre, in cui una pedagogista ci confidi che cosa le viene in mente ritornando con il pensiero a Firenze, ai nidi, all’Italia…” Così la redazione di “Bambini” mi ha spiegato che cosa avrei dovuto scrivere in questo breve testo che state leggendo.
Ho ripercorso allora questo ultimo ricco anno durante il quale mi sono trasferita da Firenze a Gent, in Belgio, dove un vivace gruppo di ricercatori e pedagogisti anima le mie giornate lavorative.
Vivere “fuori” può essere l’occasione per decostruire e ricostruire quello che davamo per scontato, a cominciare dai significati di alcune parole. La prima che mi viene in mente è “bellezza”, tema che ha animato anche l’ultimo Convegno Nazionale a Reggio Emilia. Bellezza è un termine tanto universale quanto contestualizzabile. La prima volta che ho visitato i nidi belgi non li ho trovati belli, li ho trovati molto più “pieni” di quelli italiani (per lo meno in alcune regioni) a cui sono abituata. Più caotici, in un certo senso. Portavo (e porto) con me un’idea di bellezza fatta di leggibilità, di armonia di colori, di materiali naturali, di offerta non strutturata. 

Pensieri in libertà - settembre 2014. LA TEORIA DEL GENERE E I GENITORI INTEGRALISTI

Cinzia Mion

Psicopedagogista, psicologa e formatrice; già dirigente scolastica e già componente della Commissione Pari Opportunità donna-uomo del Ministero della Pubblica Istruzione



Educare alla differenza di genere dovrebbe rientrare nell’educazione di base che contribuisce alla maturazione dell’identità di ogni soggetto, per creare le fondamenta del processo indispensabile a diventare uomini e donne. Per tale motivo è essenziale che genitori e insegnanti diventino consapevoli del rischio di praticare gli stereotipi di genere più diffusi, che sono spesso quelli più scontati e insidiosi perché considerati “naturali”.
Diventa quindi importante e urgente creare uno spazio di riflessione con chi ha ruoli educativi, attraverso una formazione a tappeto di docenti ed educatori, a partire da quelli del nido.



Diritti e dintorni - settembre 2014. RIPARTIRE DAI DIRITTI

Lorenzo Campioni
Pedagogista


La riflessione più avanzata che ci ha lasciato Loris Malaguzzi negli ultimi anni della sua vita è un approfondimento sui diritti dei bambini, degli insegnanti/operatori e dei genitori[1].
La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia[2] avrebbe dovuto segnare una svolta nelle politiche rivolte all’infanzia e adolescenza, coinvolgere tutti i livelli istituzionali e pervadere la cultura socio-psico-pedagogica per sostenere il cammino verso la compiutezza umana di ogni cittadino. La carta malaguzziana è uno dei pochi tentativi efficaci di trasportare i diritti nella vita quotidiana dei servizi educativi e nelle scuole dell’infanzia, una lettura che certamente non si ferma entro le mura scolastiche ma invade prepotentemente tutta la società.



lunedì 7 luglio 2014

Una indagine UE: l'80% degli insegnanti si ritengono sottovalutati.

Più di un terzo degli insegnanti dell'Unione europea lavora in strutture scolastiche carenti di personale qualificato e quasi la metà dei dirigenti scolastici segnala la mancanza di personale docente per alunni con esigenze educative particolari. Quasi il 90% degli insegnanti dell'UE si dichiara soddisfatto del lavoro che svolge, ma l'81% ritiene che la loro professione non sia debitamente valorizzata nella società. 

venerdì 4 luglio 2014

Tra anticipo, obbligo e identità debole

Tra anticipo, obbligo e identità debole
Antonella Panchetti


Il 20 Giugno, presso l'Università di Firenze, si è tenuto un focus tra le associazioni professionali (AIMC, MCE, CIDI, ANDIS, Proteo) per approfondire il tema dell'anticipo dell'obbligo scolastico a 5 anni, questione che è tornata di attualità nell'ambito della discussione sul riordino dei cicli e sulla possibilità di terminare il percorso scolastico a 18 anni.

lunedì 30 giugno 2014

Malaguzzi. 10 editoriali 10. "TUTTO PIÙ' DIFFICILE SE LO STATO NON C'E'.

Proseguiamo nella pubblicazione degli editoriali di Loris Malaguzzi, aggiungendo un articolo di approfondimento e commento redatto da Paola Cagliari, Pedagogista, Direttore Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia. 
Aggiungiamo anche un articolo di Sergio Neri, pubblicato nel 1981 sulla rivista 0-6, articolo da cui Malaguzzi prendeva spunto per redigere il suo intervento.
Buona lettura!

Se l’educazione è un bene comune
La relazione pubblico/privato nella gestione dei servizi 0/6
Paola Cagliari
Pedagogista, Direttore Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia, Comune di Reggio Emilia

Pubblichiamo, in questo ultimo numero dell’annata, un editoriale di Malaguzzi del 1981 che prendeva le mosse da un articolo di Sergio Neri, pubblicato il mese precedente su Zerosei, per svolgere un tema ancora oggi molto attuale: la relazione tra pubblico e privato nella gestione dei nidi e delle scuole dell’infanzia. L’editoriale di Sergio Neri metteva in luce alcune questioni drammaticamente attuali:
1. il dibattito che coinvolge il nido e la scuola dell’infanzia non si genera mai da una ricerca sull’identità di questi servizi, ma sempre da cause esterne quali le politiche del lavoro o la riforma di altri livelli scolastici;
2. ancora oggi, in molte parti d’Italia, non siamo riusciti a superare la logica del “buon servizio”. Sergio Neri auspicava “una differente collocazione sociale dell’infanzia” che la ponesse come soggetto politico e “il riconoscimento del patrimonio di partecipazione, di scienza, di professionalità, di ricerca di base” che l’esperienza comunale aveva saputo produrre. Obiettivi che sono ancora da raggiungere. I fatti di questi ultimi anni ne sono una dimostrazione. Il calo delle risorse finanziarie dei Comuni e la crisi economica che sta mettendo in difficoltà le giovani famiglie stanno alimentando da una parte la dismissione della gestione diretta dei servizi educativi da parte dei Comuni, dall’altra un calo della domanda ai Nidi e alle Scuole dell’infanzia in favore di soluzioni private e privatistiche. Certamente la crisi e l’aumento della disoccupazione stanno creando nuove povertà,
ma se tra i “tagli” che le famiglie scelgono di operare per far quadrare il bilancio i primi sono il nido e la scuola dell’infanzia significa che la cultura dell’infanzia, a cui lavorano tanti cittadini da cinquant’anni con impegno politico e professionale, non è riuscita a consolidarsi nella cultura del nostro Paese. Non siamo riusciti a consolidare un’idea di educazione bene comune, diritto dei bambini fin dalla nascita e responsabilità della società; non siamo riusciti a consolidare un’idea di bambino ricco di potenzialità che necessitano, per essere sviluppate, di contesti educativi di qualità e di collettività. Un’idea che numerose ricerche suffragano con evidenze empiriche.
Questo è un grave problema per la società italiana che rischia di perdere, con i nidi e le scuole dell’infanzia, che pure sono presenti in modo disomogeneo nel Paese, un presidio importante per l’integrazione e la partecipazione. Proprio nel momento in cui il lavoro non c’è o è precario e saltuario, il nido e la scuola dei bambini diventa per i genitori il luogo della relazione, della partecipazione, della ricollocazione del proprio ruolo nel sociale. I servizi educativi sono infatti nodi di connessione importanti tra gli individui e la società e sono una componente essenziale del benessere e del grado di civiltà di una società. Sergio Neri parlava di un “progetto  territoriale complessivo in grado di assicurare coerenza alle esperienze quotidiane”, un tema ripreso e sviluppato da Loris Malaguzzi nel suo editoriale. In alcune parti d’Italia, soprattutto del Nord Italia, da almeno due decenni il Sistema Pubblico Integrato è una realtà. Il Sistema Pubblico Integrato vincola, all’interno di norme e riferimenti condivisi, differenti soggetti gestori a offrire un servizio pubblico, quindi inclusivo, accessibile e laico, alle famiglie e ai bambini. Fare sistema non signifi ca solo incontrarsi ma riconoscere un ruolo di co-progettazione a tutti gli enti gestori, in tavoli di confronto dove il Comune può avere un ruolo forte, se sul piano qualitativo, il progetto pedagogico e gestionale, che ha costruito gestendo direttamente un numero significativo di servizi, è autorevole. Il Comune, in quanto direttamente vicino ai cittadini, è l’Ente maggiormente capace di interpretare, attraverso pratiche di partecipazione attiva, il ruolo dei servizi educativi sul proprio territorio, valorizzando le competenze e interpretando i diritti e le istanze culturali e sociali. Il superamento della contrapposizione ideologica pubblico-privato è stata una tra le conquiste di questi decenni. Questo non significa non tenere le distinzioni di identità, le radici in cui affondano e prendono forma le esperienze, ma realizzare un dialogo rispettoso e l’individuazione dei valori e dei temi di fondo: le condizioni per garantire la qualità dell’esperienza ai bambini e le famiglie, una progettazione condivisa del sistema educativo cittadino, politiche per l’accesso coerenti all’interno del sistema (criteri, rette, orari...), la condivisione dell’idea che il diritto all’educazione dei bambini è una responsabilità  per la comunità cittadina. Il nodo vero rimane però comunque il governo pubblico  delle politiche che costituisca la cornice dentro a cui le singole identità possono esprimersi nel dialogo. Pensiamo che il Sistema Pubblico Integrato, così disegnato, si collochi nel secondo scenario che Malaguzzi indica e auspica, nell’editoriale che pubblichiamo, come alternativo alle pedagogie separate e a scuole chiuse e afone che, in virtù della difesa della possibilità di scelta degli adulti, limitano le possibilità di scelta dei bambini. C’è una diffusa smemoratezza nel nostro Paese che fa decadere dai dibattiti e dalle proposte di legge sul sistema 0/6 anni la parola pubblico, per cui il sistema viene designato solo come integrato. Ma la perdita di questa designazione è una perdita sul piano politico gravissima. Le politiche, attraverso il ruolo dei Comuni, gestori diretti di servizi e coordinatori del sistema, devono essere e rimanere pubbliche e integrare enti gestori pubblici e privati all’interno di una visione di educazione bene comune, di regole condivise e di un’idea laica di educazione dove le differenze entrano in dialogo e si confrontano.
L’essere pubblico non va identificato con la natura sociale del soggetto che eroga il servizio, ma sull’inclusività, accessibilità, apertura e dialogo con il territorio, partecipazione al sistema, accettazione di vincoli di reciprocità in una  ottica di sussidiarietà.
C’è una differenza sostanziale tra sussidiarietà e privatizzazione dei servizi. La sussidiarietà è prevista dall’art 118 della  Costituzione che afferma “Stato,Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarità”. Tale principio implica che le diverse istituzioni debbano creare le condizioni necessarie per permettere alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività. La privatizzazione dei servizi è la loro cessione senza condizioni a soggetti che fanno questo per ritorno economico in una logica di mercato.
Nell’ambito del 3/6 lo Stato non offre il 100% di scolarità, né ha predisposto piani di finanziamento adeguati a raggiungere questo obiettivo. Non dare le condizioni per il mantenimento dei servizi esistenti vuol dire di fatto non consentire ai bambini di avere il diritto alla scuola (oltre al fatto che ogni struttura chiusa è una struttura che non riaprirà più). L’invito è di produrre un dibattito sul tema pubblico/privato non ideologico e capace di includere, qualificare e valorizzare le esperienze esistenti con l’obiettivo di dare a tutti i bambini, come scrive Loris Malaguzzi, “la scuola che si meritano”.
Per questo oggi è importante che il Parlamento approvi il prima possibile una legge 0/6 che:
- all’interno di una visione e un impianto organico del sistema di istruzione e formazione da 0 a 99 anni, riconosca unitarietà e pari dignità a tutti i servizi educativi e scolastici dal nido fino alla formazione permanente;
- riconosca ai bambini da 0 a 3 anni l’esigibilità del diritto all’educazione in collettività. Questo può essere attuato togliendo il nido d’infanzia dal novero dei servizi a domanda individuale, per inserirlo a pieno titolo nel sistema di istruzione e formazione aggiungendo alla sua denominazione il termine “educativo”;
- proponga i servizi educativi 0/6 come rappresentanti delle politiche proprie per l’infanzia, sottraendole alla subordinazione dalle politiche del lavoro e della famiglia;
- sancisca il ruolo centrale degli enti locali nella governance del sistema pubblico integrato, quali gestori dei servizi educativi per la prima infanzia, garanti della qualità dei servizi stessi, siano essi pubblici, convenzionati o privati;
- ponga le basi giuridiche perché tutti gli enti gestori abbiano il riconoscimento di tale ruolo e le condizioni opportune e necessarie per svolgerlo, con un adeguato piano di finanziamenti;
- assicuri la qualità del servizio ponendo vincoli quali la formazione in servizio, la collegialità del lavoro, la compresenza di più figure col gruppo dei bambini, il coordinamento pedagogico;
- assumendo la centralità dei diritti dei bambini, proponga la conciliazione tra questi ed i diritti del genitore - lavoratore, chiedendo al mondo del lavoro di assumersi la sua parte in queste politiche;
- riconosca il diritto dei genitori, individuati come portatori di saperi, di essere parte attiva della costruzione del progetto educativo che coinvolge i loro fi gli e la collettività, attraverso la partecipazione sociale. Per tutto questo chiediamo il sostegno di tutti coloro che credono che i servizi educativi sono una componente importante del benessere e del grado di civiltà di una società.
È possibile firmare per sostenere la rapida approvazione di una legge 0/6 andando sul sito www.grupponidiinfanzia.it




TUTTO PIÙ DIFFICILE SE LO STATO NON C’È
di Loris Malaguzzi

L’incontro tra il ministero della Pubblica Istruzione, regioni, comuni, sindacati confederali  (da cui prendeva le mosse l’editoriale di Sergio Neri sull’ultimo numero della rivista) attorno alla 444 non si è fatto. E a tutt’oggi niente indica che si farà.
Con tutta franchezza, almeno da parte nostra, diciamo che non ne siamo dispiaciuti. Anzi. Le procedure e i documenti che accompagnavano il progetto erano (e anche in modo contrapposto) vistosamente al di sotto dell’importanza del tema e della chiarezza necessaria e lasciavano trasparire non poche ingenuità; compresa quella di accreditare che i grossi problemi legati comunque a sostanziali modifiche della 444, potessero affrontarsi e condursi a soluzioni accettabili e positive al di fuori di una provvida consultazione e di quelle sperimentazioni, non solo cautelative, previste dal piano di riforma della secondaria; e al di fuori di un confronto delle forze politiche e di un quadro di riferimento capace di dare finalmente una rigorosa identità culturale alla scuola dei bambini da 3 ai 6 anni (se ancora si arriva in tempo), contestualmente ai temi della scuola e dell’educazione di base. Il rischio di assistere ancora al vezzo dell’aggiustamento, del colpetto volpino,   delle   grandi bonifiche assistenziali (sostanzialmente  del  rinvio  sistematico che è quello che da anni la politica scolastica ci propina) non è scongiurato. Le impressioni e gli inviti di Neri puntavano essenzialmente a dare spessore e centralità alle molte e decisive questioni connesse con la 444 che specie quando divengono materia di confronto e di scelte, esigono di essere portate al massimo della chiarezza e della consapevolezza: non per una o alcune delle parti ma per tutte le parti che vi intervengono.


Le  questioni che si annodano alla 444, alla legge che nel 1968 ha sancito il dovere dello Stato di istituire la sua scuola materna e di provvedere con responsabilità dirette all’educazione dei bambini da 3 a 6 anni, sono molte. E certo c’è anche quella della scuola materna privata, del suo posto in una società pluralista, dei suoi rapporti con lo Stato e le sue leggi: un problema che si richiama a realtà e a principi e che chiede adeguamenti legislativi. Una materia che ha complicazioni storiche e politiche ma che accampa ragioni e interpretazioni che chiedono legittimamente di misurarsi sul terreno dell’organizzazione dello Stato e dei suoi servizi, diretti e indiretti, rivolti alla società civile.
Il confronto attorno a questi problemi, mantenuto vivo e teso da parte delle forze di ispirazione cattolica, ha tentato in questi anni la via periferica delle convenzioni tra scuole private e enti territoriali e decentrati dello Stato. Un’operazione che cercava soprattutto riconoscimenti e che in parte ha raggiunto dei risultati, oggi non più bastevoli: ma che ha lasciato aperti molti interrogativi e molte ambiguità.

In realtà la questione nei suoi termini essenziali e ultimi è ancora in alto mare. Non sono chiare molte cose: quale è (o dovrebbe essere) lo Stato (i suoi poteri, i suoi doveri, i suoi rapporti con i gruppi economici privati, l’informazione, la scienza, la cultura ecc.) con cui la
scuola privata chiede un nuovo rapporto? E quale il ruolo delle amministrazioni pubbliche territoriali che sono parte integrante dello Stato? Quale il ruolo pubblico della scuola privata, i termini della sua soggettività etica e culturale e i termini della sua effettiva idoneità a rispondere alla domanda oggettiva, differenziata, dei cittadini e del territorio e gli ambiti riconoscibili per una sua visualizzazione all’interno di una politica di piano e di scelte programmate? Quale la funzione che si accredita allo Stato nei confronti della scuola statale pubblica e nei confronti della collettività nazionale a garanzia del diritto fondamentale dei cittadini, di tutti i cittadini, a godere di un’educazione laica che assicura la cultura della ricerca e del confronto e la libera e permanente opzionalità di coscienza?
Scorrendo via via i discorsi della stampa che patrocina gli interessi della scuola privata, è facile annotare l’insistere di posizioni antistatalistiche e antistituzionali, di accuse contro lo Stato che discrimina e perseguita, di denunce contro l’incompetenza della politica e dei politici: cui si ama spesso contrapporre purezze ed estraneità più che dubbie, radicalismi demagogici, forme evanescenti e ingenue di contro organizzazione sociale.
Giusto secondo quello che alcuni definiscono il vecchio catastrofismo cattolico o, con interpretazione più misurata, la storica e ricorrente sfiducia dei cattolici nei confronti delle pubbliche istituzioni. Dove, ci sia concesso dire, è incombente il rischio di metodologie giusnaturalistiche che possono decomporre, sbriciolare il corpo sociale in autonomie effimere e bugiarde con diritti inalienabili da parte di ognuno o del gruppo, da non negoziare, né politicamente né eticamente, all’interno della realtà più composita (e classista) della realtà sociale.  In questa filosofia la concezione di una pedagogia separata e di una scuola chiusa, afona e triste nella sua pur perfetta sintonia di voci, vocazioni e libere scelte fatte da adulti per meno libere scelte dei bambini, è in corretta coerenza; fino al punto che i genitori dei bambini sono invocati ad essere i naturali guardiani dell’apartheid. “La partecipazione dei genitori – si scrive – non dovrà essere vista come aggiuntiva ma come sostitutiva di quella dell’ente pubblico e dello Stato”.
Accanto a discorsi di questo tipo, visibilmente faziosi e ingenerosi, per fortuna ce ne sono altri. Che, seppure di minoranza, riconoscono il ruolo primario “della programmazione della pubblica amministrazione”, sottolineano l’utile sociale derivante “dalla collaborazione dell’istituzione privata al raggiungimento di obiettivi che la programmazione pubblica propone”, inserendosi in una feconda strategia “di integrazione”. Qui la concezione pedagogica sottesa è di altra marca. Ed è chiaro che è solo questo secondo discorso che ne sollecita e ne genera altri.
Ma la grossa possibile anomalia in una questione che sarà risolta bene solo se tutti anteporranno ai discorsi di parte, il discorso che mira a dare ai bambini la scuola che si meritano (e che ancora non hanno) accettando il merito della chiarezza, è che possa essere lo Stato (la storia accumulata dai governi di questo Stato) a sottrarsi o a mancare in parte al ruolo e ai compiti che gli sono prescritti, proprio in sede di trattativa e di confronto. Non per le ragioni addotte con irriconoscenza dalla stampa patrocinante che abbiamo più su detto (e che farebbe bene a ripercorrere con la memoria la storia dei favori e delle alleanze ricevuti) ma per la sua paradossale ventennale inintenzionalità (giusto dai tempi del ministro Gonella appena si profilò politicamente l’ipotesi della nascita della scuola materna pubblica) a tenere in pugno il suo doveroso ruolo primario nella costruzione della sua scuola e della scuola più in generale del bambino.
Avrebbe potuto essere un’eccezionale innovativa esperienza storica. Solo lo Stato non avesse piegato le ginocchia e avesse voluto, contro nessuno, innestare le lezioni gloriose del passato (fatti e intuizioni che all’estero ci invidiano) in quelle che la vicenda contemporanea (della scuola della cultura, della politica) andava chiedendo.
L’amico Neri ha ragione quando richiama questo problema. E noi invitiamo a riflettere quanto abbiano bloccato la storia – da quella culturale a quella di costume – le risorse e le occasioni buttate da questa scuola materna statale (da cui ancora sono esclusi 600.000 bambini) nata e tenuta in vita da un amore solo complementare e sussidiario. Quello che ancora gli esprime lo Stato.

Non è solo un “buon servizio”
Sergio Neri
Attorno al futuro della scuola materna – statale, comunale e privata – le discussioni si stanno facendo ogni giorno più fitte. Ben vengano, verrebbe fatto di dire, se esse non fossero per lo più volte al domani, in uno sforzo di trascuratezza del presente o anche del passato più vicino, meritevole davvero di miglior causa. Tutto sommato, le posizioni possono sintetizzarsi in questo modo.
Da un lato, diciamo dalla parte dei progressisti, ci si lancia in complicate ipotesi di “grandi riforme di struttura” tutte volte a ridisegnare un percorso scolastico la cui discriminante qualitativa è individuata nell’età di passaggio da un grado di scuola all’altro (è meglio un 2 + 4 + 3 + 2 o un 3 + 4 + 3 + + 2 o un 1 + 5 + 3 + 2? dove, lo ricordiamo solo al lettore più distratto, il primo numero si riferisce agli anni della scuola materna (obbligatoria solo nell’ultimo caso); il secondo, alle elementari; il terzo, alla media inferiore; il quarto, ad un supposto biennio obbligatorio.
Dall’altro lato, abbiamo i tradizionalisti illuminati, i quali sotto l’usbergo di un pluralismo populistico, ripropongono ancora una volta la coesistenza di scuole separate come il terreno sul quale meglio si può esercitare la “libertà” di ciascuno. Quanto poi tale libertà possa diventare spinta alla discriminazione ideologica e/o fattore di chiusura corporativa, poco importa ai paladini di questo neoliberismo scolastico.
Ma quel che più colpisce – perché è chiaro che sarebbe sciocco rimproverare ai conservatori di essere coerenti e tenaci nella difesa delle loro posizioni – è la cecità, culturale e politica, di molte persone che pur sono schierate democraticamente e che in qualche modo hanno pur vissuto l’esperienza degli ultimi quindici/venti anni.

1
Si muovono come se non fosse intanto maturata, in numerose parti del Paese, una realtà scolastica nuova, che ha saputo produrre un patrimonio vivace di partecipazione ed ancor più di scienza, di professionalità, di ricerca di base. Ciò che in loro maggiormente sorprende non è solo l’atteggiamento di difesa, quanto piuttosto l’aver assunto una percezione riduttiva secondo la quale quanto si è costruito non riesce a superare la logica del “buon servizio”: i progetti di intervento restano efficienti, “funzionano”, perché sono stati ben preparati. Niente di più. Ciò che maggiormente manca è una visione complessiva (e non solo economicistica o settoriale) dei caratteri del modello di sviluppo neocapitalistico e delle contraddizioni che esso ha esercitato non solo sul corpo sociale e sulla soggettività dei singoli individui, ma anche sulla scienza, sugli strumenti di lavoro, sui ruoli operativi.
Certamente la politica dei servizi (le scuole materne, i nidi, i centri di igiene mentale, l’inserimento degli handicappati...), nata sotto la spinta dell’occupazione, del doppio salario in famiglia ecc., ha teso in prima istanza a rispondere ai bisogni immediati della popolazione. Ma non si è limitata a questo. Cercando di non accasermare i cittadini, di rispondere ai loro bisogni consultandoli e coinvolgendoli, di farli partecipi sul come gestire le iniziative fino a realizzare un impegno unitario tra ente locale, operatori, popolazione, ha dovuto dar luogo anche a vere e proprie invenzioni di strumenti scientifici nuovi.
Non si tratta – è bene notarlo subito – di esperienze da isola felice, note ai pochi addetti ai lavori, ma assai scarsamente collegate con la popolazione degli stessi paesi dove nascono. Esse non sono nemmeno esperienze esemplari, ma si pongono come iniziative organiche degli Enti locali, che coinvolgono il personale in un dibattito sul custiodalismo e più in generale sul significato e i diritti dell’infanzia, che si collegano alla popolazione in modo dialettico e che, nel medesimo tempo, hanno alle spalle un movimento di massa capace di collegare le lotte per conquiste attinenti il settore d’intervento, alle lotte per la conquista di forme e condizioni di democrazia reale.
Il miglioramento della prestazione specifica, per esempio, non si pone più solo come un intervento tecnico separato, ma si lega strettamente a uno sforzo teso a disgregare i meccanismi dell’individualismo e dell’emarginazione e a socializzare gli utenti attraverso una funzione “educativa” (politica e culturale) del servizio che investe sia il singolo che l’ambiente. In questo ambito, i genitori non solo risolvono il problema della collocazione dei figli, ma sono indotti a porsi in termini di contenuti più avanzati l’intero problema dell’educazione dell’infanzia. Ciò che cambia sostanzialmente è la percezione dell’infanzia, della sua collocazione sociale e politica, della sua storia, dei diritti della sua crescita e, nello stesso tempo, del suo bisogno di integrazione sociale.
Non meno copernicano è stato il ribaltamento di posizioni prodotto dall’intenso processo di maturazione di cui è stato protagonista il personale operativo. È chiaro che si tratta di una linea di tendenza che non coinvolge tutti, ma che tuttavia ha portato – per la prima volta nella nostra storia – un attacco a livello diffuso al patrimonio ideologico e strumentale di una categoria professionale dominata, nei migliori dei casi, da un’egemonia idealistica di stampo gentiliano. Ne è nata un’opposizione consapevole al corporativismo e al tecnicismo arcaico (e anche a quello efficientista che utilizza strumenti sociologici e psicologici per operazioni “neosegregant”),  opposizione nella quale il politico, il sociale e lo scientifico prendono a coesistere fino a individuare una differente stratificazione dei problemi e a mettere a punto forze, strumenti, obiettivi e contenuti meglio adeguati alle richieste di una società qualitativamente migliore.

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Quel che serve è dunque una precisa analisi, teoricamente fondata, della funzione della politica locale dei servizi del nostro Paese (in questo assai diverso dagli altri Paesi europei), fino a coglierne le valenze in grado di offrire sbocchi credibili e generalizzazioni valide per tutti. Quel che serve, in altri termini, è la capacità di trasformare in scienza le esperienze e le sperimentazioni attuate in questi anni nelle scuole comunali dell’infanzia, in modo che l’enorme articolazione di linguaggi, strumenti e soluzioni si traduca anche in una pratica aggregante traducibile tanto in strumenti di lavoro generalizzabili quanto in modalità serie di formazione professionale e culturale.
Non bastano – le “cecità” di molti interventi ne sono la riprova – i discorsi sul “buon servizio” né le stucchevoli descrizioni spontaneistico-parapolitiche e nemmeno le classificazioni secondo la manualistica di maniera (il modello bruneriano, il modello rogeriano, e così via). Occorre cogliere e diffondere le conquiste di contenuto esistenti nella realtà operativa, senza per questo separare le conquiste dalle nuove contraddizioni, nate appunto dall’aver spostato su un terreno più avanzato la gestione del sapere. Tra l’altro, la carenza di riflessione teorica contribuisce (o ne è essa stessa il prodotto?) a mantenere separati gli interventi secondo gli istituti, i settori, gli assessorati ed a ritardare la nascita di quel progetto territoriale complessivo, in grado di assicurare coerenza alle esperienze quotidiane e creare un tessuto in cui l’identificazione posltiva in valori e strumenti costituisce un’arma efficace contro i processi di disgregazione attualmente in atto.

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A chi spetta fare ciò? Purtroppo, nonostante i sommovimenti del ‘68, permane nel Paese una percezione idealistica del significato dell’azione culturale, per cui gli “intellettuali”, “l’altra cultura” non si impegnano più di tanto rispetto a quei problemi concreti e specifici attinenti ai servizi sui quali l’Ente locale si è andato impegnando. E anche per l’Università non è facile ipotizzare – nonostante qua e là ci siano segni di una volontà nuova rispetto alla tradizione – un ruolo credibile.
E pur tuttavia occorre fare appello a tutte le forze disponibili, a partire proprio da quegli operatori che in tutti questi anni hanno reagito con sorprendenti capacità creative ai problemi che la costruzione di servizi nuovi imponeva. Quel che serve, comunque, è comprendere che non sono in ballo tanto le scuole materne, quanto piuttosto quel nuovo modo di produrre scienza che ha costituito e costituisce l’elemento maggiormente caratterizzante la gestione dei situazione servizi di molte amministrazioni locali. Per questi motivi non è demagogico l’invito a partire dagli operatori. Demagogico sarebbe, invece, limitarsi a loro e non comprendere che la massima unità nelle ipotesi di intervento esige la massima articolazione di istituti, forze, associazioni, iniziative per realizzarle.

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Sono questi appena alcuni dei motivi che postulano ben diverse basi per awiare una discussione seria della 444. Le esperienze della scuola comunale sono anche esperienze dello Stato, di quella scuola pubblica che – nonostante questo Stato – in Italia ha ormai una storia fatta di scienza, di democrazia, di professionalità.
Quanto questa esperienza abbia consentito di capire che si può fare una scuola diversa, finalmente adeguata alle esigenze contestuali del bambino e di una società meno ingiusta, costituisce un patrimonio evidentemente non acquisito da parte di tutte le forze democratiche.
Lavorare perché questa consapevolezza maturi al più presto è diventato più che mai necessario ed urgente, anche per questa Rivista.
Sarà così più facile comprendere che la riforma della scuola di base non è problema risolvibile con alchimie aritmetiche, da giocarsi magari sulla base dei tassi di natalità o delle quote di insegnanti attualmente in servizio.
Si tratta di un intervento che tocca la qualità della vita di tutti. Lo capirono, quindici anni fa, i comuni democratici. Perché non trasferire a tutti quella lungimirante consapevolezza?


mercoledì 25 giugno 2014

PENSIERI IN LIBERTÀ di Cinzia Mion. Anticipo a 5 anni. Ancora?

Cinzia Mion è Psicopedagogista e Psicomotricista; già dirigente scolastico e membro della Commissione Ministeriale Pari Opportunità di Roma, collabora con varie università. In questo contributo affronta il tema dell'accesso alla scuola primaria anticipato a 5 anni. 

E pensare che sono passati già parecchi anni dal libro di Neil Postman “La scomparsa dell’infanzia”, cosa dovremmo dire allora oggi che la Ministra di turno torna alla carica con la proposta di “decapitare” la scuola dell’infanzia di un anno per proporre tout court l’anticipo a 5 anni della scuola primaria?

lunedì 23 giugno 2014

Andate e ritorni. Le questioni che rimangono sempre e ostinatamente aperte. Qualche idea e approfondimento.

Nell'ultimo numero della rivista Bambini potete trovare un approfondimento specifico sul tema delle "didattiche". Nell'articolo di apertura abbiamo segnalato diversi articoli e spunti, che vi offriamo qui di seguito per approfondire i temi aperti.

mercoledì 11 giugno 2014

Interrogarsi per comprendere: "À CIEL OUVERT". Un docufilm di Mariana Otero

Il titolo, "À CIEL OUVERT", spiegato dalla regista. 

Nel numero di Maggio della Rivista Bambini abbiamo pubblicato un box informativo che parlava del file "A Ciel Ouvert", di Mariana Otero. In questo articolo la regista spiega il titolo e ci guida alla "lettura" dei contenuti della sua opera, che potete trovare a questo link.

lunedì 19 maggio 2014

Malaguzzi. 10 editoriali 10. Il numero 8, "LA GESTIONE SOCIALE COME PROGETTO EDUCATIVO"

Il commento di Alessandra Valastro, Docente di Democrazia partecipativa e governance presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia riguarda un editoriale scritto da Loris Malaguzzi dal titolo "LA GESTIONE SOCIALE COME PROGETTO EDUCATIVO".

Uno dei punti di partenza dell'editoriale sostiene che "l’educazione dei bambini è un problema della famiglia, della istituzione educativa, della società e come tale richiede solidarietà, risposte collettive oltre che individuali".

Cos'altro aggiungere?

Buona lettura.

Il testo lo trovate qui

mercoledì 16 aprile 2014

Bambini in Europa. Questa volta parliamo di qualità dei servizi

Il secondo numero della rivista "Bambini in Europa", pubblicato nel novembre del 2001, è una monografia sul tema della qualità dei servizi. 
Il documento, dal titolo “La qualità nei servizi per l’infanzia”, è stato elaborato per la Rete per l’Infanzia della Commissione europea. 

mercoledì 2 aprile 2014

A proposito di...
Una scuola per crescere

Una scuola per crescere, Bambini, febbraio 2014

Antonella Panchetti , tutor Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università di Firenze e
insegnante di scuola dell'infanzia presso I.C. di Vinci, Firenze.

Ho letto con molto interesse l'articolo “Una scuola per crescere” (“Bambini”, febbraio 2014) scritto da una mamma, Dorys Contreras. Mi stupiscono molto le parole, i sensi e i significati che dà questo genitore all'esperienza scolastica e credo che questo articolo dovrebbe essere diffuso anche tra i genitori dei bambini che si approcciano ad entrare nella scuola dell'infanzia.

martedì 1 aprile 2014

Malaguzzi. 10 editoriali 10. Il settimo. "SUGLI STILI E SULLE DIFFERENZE".

Nella rivista di Aprile pubblichiamo l'editoriale di Loris Malaguzzi "Sugli stili e sulle differenze", con un commento di Giancarlo Cavinato del Movimento di Cooperazione Educativa.

L'editoriale, del 1991, analizza il tema delle differenze dei bambini, e di come il contesto, il tempo, le azioni e le offerte loro rivolte siano aspetti rilevanti e correlati per ragionare di "agio": "Rispettare i tempi della maturazione, dello sviluppo, degli strumenti del fare e del capire, della piena, lenta, stravagante, lucida e mutevole emersione delle capacità infantili, è una misura di saggezza dialogica e culturale."

Qui trovate l'articolo ed il commento.

giovedì 27 marzo 2014

La primavera è arrivata. Cosa facciamo all'aperto?

Siamo sicuri che basti "uscire" dalle stanze del nido o dalle sezioni della scuola dell'infanzia per offrire opportunità di crescita ed esplorazione nella natura?
E' importante pensare, organizzare, verificare quali siano le occasioni che offriamo a bambine e bambini per poter vivere appieno dei momenti verdi davvero divertenti e gratificanti.

lunedì 24 marzo 2014

Politiche per l'infanzia: e se ci guardassimo un po' attorno?

Dal 2001 un network di riviste dedicate al mondo dell'infanzia, edite in diversi paesi europei, ha deciso di fare un pezzo di cammino in comune.
Da qui l'idea di "Bambini in Europa", rivista pubblicata 2 volte l'anno, che approfondisce i diversi aspetti del lavorare con bambine e bambini tra gli 0 e i 6 anni.

mercoledì 12 marzo 2014

A proposito di...
“Chi educa chi?” e “Cure in gioco”

Antonella Panchetti , tutor Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università di Firenze e insegnante di scuola dell'infanzia presso I.C. di Vinci, Firenze.

Gli articoli ( Chi educa chi? e Cure in gioco”) usciti su “Bambini” il mese di gennaio sembrano trattare di continuum tra i più evidenti, se si guarda allo specifico ruolo dell'insegnante della scuola dell'infanzia che dovrebbe:
argomenti lontani tra loro. Il primo perché fornisce una cornice teorica sulla responsabilità educativa, il secondo un momento di vita scolastica che riguarda un luogo, il bagno, molto poco valorizzato nella scuola dell'infanzia. Rappresentano però un

Rispettare l'evoluzione della personalità del bambino nei suoi vari aspetti psicofisici;
riconoscere come da tre a sei anni il gioco costituisca la sua esperienza fondamentale;
ricercare le modalità che consentono apprendimenti attivi, in situazione reali.


Chi educa chi, se l'uomo post-moderno smette di considerare la sua esistenza un compito? Se abdica di fronte all'impegno di essere un animale da disciplinare? Chi educa chi, se “l'animale che prende posizione” smette di farlo e sostituisce una serie di espedienti disutili all'onere di assumersi le proprie responsabilità (quelle legate alla costruzione di un'identità personale autentica)? Chi educa chi, se la coscienza dorme e se approssimazione e non curanza regolano anche i rapporti più stretti, a riprova di una modalità di interazione spesso conflittuale e poco costruttiva? Chi educa chi, se il senso di responsabilità è latitante?

lunedì 10 marzo 2014

Malaguzzi. 10 editoriali 10. Siamo al sesto. "TESTE BEN FATTE PIUTTOSTO CHE PIENE".

Oggi vi rimandiamo al sesto editoriale della serie dei 10 di Malaguzzi.

Era il 2007, e le Indicazioni Nazionali del Ministero dell'Istruzione erano state da poco pubblicate. 

Nel suo scritto Malaguzzi prova a mettere in fila alcune importanti questioni, partendo da una citazione di Michel de Montaigne, filosofo francese del 1500: "È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena"

mercoledì 26 febbraio 2014

Portare la politica nel nido: l'educazione per la prima infanzia come pratica democratica

Peter Moss

Unità di Ricerca Thomas Coram - Istituto di Educazione, Università di Londra

Un testo apparso di recente, Ethics and politics in early childhood education, si apre con le seguenti parole:
Questo libro parla di una possibilità per le istituzioni per l'infanzia e per i ragazzi… La possibilità è che tali istituzioni possano essere concepite innanzitutto come fori, spazi o luoghi di pratica etica e politica (Dahlberg e Moss, 2005, pp. 1-2).

lunedì 24 febbraio 2014

La paura: conoscerla, comprenderla, superarla

Pubblichiamo oggi questo contributo di Carmen Vesci, psicologa e psicoterapeuta.


Questo articolo nasce dalla mia esperienza professionale come psicologa dell’età evolutiva e psicoterapeuta clinica che lavora con le famiglie ed in particolare, da un intervento presentato al festival della psicologia tenutosi a Milano nel mese di Maggio 2012, a cui ho partecipato conducendo un seminario  che aveva come argomento le paure dei bambini.

martedì 18 febbraio 2014

Verso il convegno. Citazioni per riflettere. 4

Anche oggi una riflessione in vista del convegno. Questa volta parliamo di "Il soggetto bambino", testo di Alfredo Hoyuelos Planillo. Anche questo testo viene ripubblicato in edizione speciale per il convegno Educazione e/è politica.

Nel testo si riportano i “CAMPI DI ESPERIENZA (secondo i bambini)”. Cosa ne dite?

lunedì 17 febbraio 2014

Verso il convegno. Citazioni per riflettere. 3

Siamo agli sgoccioli: davvero pochi giorni al convegno Educazione e Politica. Noi vi proponiamo ancora qualche spunto di riflessione e approfondimento. 
Qui lo stralcio di una intervista a Vea Vecchi, riferita al testo "I cento linguaggi".

Buona lettura!

sabato 15 febbraio 2014

Iela Mari. Ci mancherà.

Iela Mari (ancora più del marito Enzo Mari, con cui firmò alcuni lavori) è stata una grande artista, e con i suoi libri senza parole - che spesso avevano una costruzione narrativa circolare - ha innovato profondamente il mondo del libri per l’infanzia. Credo che non ci siano nidi e scuole dell’infanzia che non abbiano, o abbiano avuto i suoi libri, prima stampati da Emme e oggi da Babalibri. I primi silent book a circolare in Italia sono i suoi, insieme a quelli di Munari, e mantengono ancora oggi una grande freschezza. Sono dei classici, dunque, che provocano nei bambini stupore e curiosità.


Ci sembra importante ricordarla.


mercoledì 12 febbraio 2014

Malaguzzi. 10 editoriali 10. Il quinto: "L'incremento delle reti comunicative"

Il quinto editoriale, della serie dei 10, di Loris Malaguzzi.

Perché sono importanti le reti comunicative? Come contribuiscono alla crescita dei bambini?

"Tra le finalità quella di rafforzare in ogni bambino il senso di una sua identità attraverso un riconoscimento che venga dai coetanei e dagli adulti fino a fargli sentire quel tanto di sicurezza e di appartenenza che lo abilita ad accettare e a concorrere alla trasformazione delle situazioni”.

L'editoriale, con un commento di approfondimento a cura di Marianella Sclavi.

Uno spunto di riflessione interessante, a pochi giorni dal convegno del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia.

venerdì 7 febbraio 2014

mercoledì 5 febbraio 2014

Verso il convegno. Citazioni per riflettere.

In vista del convegno nazionale "Educazione e Politica", vi proponiamo alcune citazioni, spunti, riflessioni. 
Una buona occasione per approfondire le idee di autori che hanno contribuito in modo fondamentale al sistema dei servizi all'infanzia.

Iniziamo con Loris Malaguzzi, con un breve stralcio da "L’ambiente e lo spazio", contenuto in "I centolinguaggi dei bambini"

martedì 4 febbraio 2014

Educazione e/è Politica. Vi va qualche approfondimento?

La ricorrenza del Convegno nazionale che il Gruppo Nidi Infanzia propone a Reggio Emilia il 21 – 23 febbraio prossimi rappresenta un'occasione estremamente significativa per fare il punto sull'evoluzione del pensiero pedagogico per l'infanzia, sulle prospettive dei servizi educativi, sul maturare della riflessione pedagogica.

lunedì 27 gennaio 2014

NUOVI PROGRAMMI EUROPEI PER FARE L’ EUROPA SOCIALE

Riceviamo questo interessante contributo di Alberto Alberani,  responsabile area welfare e coop sociali Legacoop Emilia Romagna. Il tema è quello delle linee di intervento europeo, spesso poco conosciute in Italia, ma che molto possono offrire per innovare e sperimentare, in molti campi diversi.

martedì 21 gennaio 2014

Non c'è futuro senza memoria. Una riflessione sulla Shoah.

Il 27 Gennaio è la giornata della memoria. Ci permettiamo di ripubblicare un piccolo inserto sul tema della giornata della memoria "spiegata ai bambini", con qualche proposta di lettura a nostro avviso davvero significativa.

giovedì 16 gennaio 2014

Malaguzzi. 10 editoriali 10. Il quarto: "I bambini, noi e la guerra"

Pubblichiamo, all'interno dell'iniziativa per ricordare Loris Malaguzzi, il quarto editoriale dei dieci previsti. Torniamo al 1991, all'epoca della guerra del Golfo, una delle prime che ha invaso con la diretta il palinsesto televisivo, uscendo dai classici contenitori del telegiornale o dell'approfondimento e diventando cronaca quotidiana. Parte dal confronto tra realtà e finzione il ragionamento nell'editoriale. Lasciamo a voi spunti e commenti. Il testo lo trovate nell'ultimo numero della rivista Bambini, e on line qui.