lunedì 24 febbraio 2014

La paura: conoscerla, comprenderla, superarla

Pubblichiamo oggi questo contributo di Carmen Vesci, psicologa e psicoterapeuta.


Questo articolo nasce dalla mia esperienza professionale come psicologa dell’età evolutiva e psicoterapeuta clinica che lavora con le famiglie ed in particolare, da un intervento presentato al festival della psicologia tenutosi a Milano nel mese di Maggio 2012, a cui ho partecipato conducendo un seminario  che aveva come argomento le paure dei bambini.



L’obiettivo è riflettere su un tema che mette spesso in crisi gli adulti (genitori, educatori) che non sanno come aiutare i bambini ad affrontare un’emozione naturale ed indispensabile al processo di crescita di un essere umano. L’obiettivo di questo articolo è quello di illustrare il significato biologico ed evolutivo della paura per poi passare ad affrontare il ruolo di genitori/educatori che hanno a che fare con bambini che hanno paura.

Perché è importante avere paura
La paura può essere definita come un’emozione primaria di difesa che la persona sviluppa in situazioni di pericolo, reali o soggettivamente percepite come tali e può essere rivolta ad oggetti, persone o situazioni specifiche. Tutte le emozioni promuovono la sopravvivenza e quindi si conservano nell'evoluzione poiché mirano a regolare i processi vitali o in modo diretto (evitare i pericoli, aiutare gli organismi a trarre vantaggio da un’opportunità) o indiretto (facilitando le relazioni sociali). Da un punto di vista biologico ed evolutivo dunque la paura è positiva; senza non si può sopravvivere, però per la qualità della nostra vita è importante imparare a gestirla.
Il bambino quando nasce passa da una situazione intrauterina sicura e protettiva ad una a "rischio" in cui tutto é nuovo, sconosciuto, spaventoso. La paura è proprio l’espressione di un qualcosa che entra in dissonanza tra il sentire interno e la realtà percepita. Il ruolo dell’adulto allora diviene proprio quello di rendere comprensibile e gestibile quel che avviene, attraverso il contenimento fisico e psichico, dando un significato ed un nome a quello che prova il bambino. Nel momento in cui questo non succede abbiamo quelli che possiamo chiamare disturbi della regolazione ovvero le difficoltà nel regolare emozioni e comportamenti in relazione ad uno stimolo sensoriale e ciò porta a limitazioni dello sviluppo. Possiamo raffigurare in questo modo il processo appena descritto :


Fig. 1
Nell'infanzia ci si trova di fronte a paure di tipo “irrazionale” (ad esempio i “mostri “ e “fantasmi”); crescendo poi esse divengono sempre più complesse ed interessano anche la sfera sociale e relazionale (ad esempio, la paura di apparire inadeguati). In momenti di crisi o di particolare stress possono intensificarsi ed alcune possono ricomparire alcune paure, ne esistono comunque alcune tipiche dell’infanzia, tra le principali citiamo:
LA PAURA DELL’ABBANDONO: la più antica è legata alla separazione dalla figura di riferimento. Aumenta soprattutto nelle “fasi evolutive di passaggio” ed ogni volta che il bambino si confronta con nuovi traguardi fisici o mentali.
LA PAURA DEL BUIO: la notte, intesa come lungo momento di separazione in cui  aumenta l’ignoto, può attivare sentimenti di abbandono.
● PAURA DELLA MORTE: Dopo i 3 anni progredisce la capacità di comprensione  della morte per cui il bambino fa pensieri sulla morte propria e dei propri genitori, poi dai 4 anni circa la morte è associata all'irreversibilità come per gli adulti.
● PAURA DELLA SCUOLA : la scuola rappresenta la prima volta con ”l’altro” fuori dallo spazio sicuro della famiglia e questo può generare paura. In particolare l’ambiente scolastico può incrementare i timori legati alla propria performance oppure la difficoltà di gestire i rapporti sia con i compagni che con altri adulti.
Gli adulti di fronte alla paura dei bambini, relazionarsi col bambino e le sue paure
Perché i bambini imparino a gestire in maniera sempre più autonoma le proprie paure c’è bisogno di un  Adulto significativo che sia stato una fonte di supporto emotivo e cognitivo. Rifacendoci alla teoria dello sviluppo analitico transazionale possiamo dire che nel corso del suo sviluppo il bambino attraversa diverse fasi ed in ciascuna di esse ha bisogno che l’adulto che si prende cura di lui gli consenta di sviluppare le sue potenzialità fornendogli i “permessi” specifici di ogni fase (Mastromarino, 2000). I principali sono:
1. Puoi esserci-esistere (ti tengo tra le braccia, mi piaci come sei, sono contento che tu ci sia)
2. E’ ok esplorare, fare cose nuove da soli ed avere anche l’aiuto dei grandi (bravo, hai fatto bene)
3. Puoi dire di no e farti sentire, io ti ascolto
4. Puoi pensare (è ok chiedere, essere curioso, mi piace rispondere alle tue domande)
5. Puoi crescere, diventare grande, conoscere nuovi amici ( io ci sono, sono contento che cresci, continuerò a starti vicino)
6. Puoi essere te stesso (mi piace che tu sia maschio, femmina, alto, basso, ecc …)
7. Puoi sentire le tue emozioni e mostrare i tuoi sentimenti
Rispetto all'ultimo punto, nello specifico, un’attenzione particolare la merita quello che potremmo chiamare il “permesso di sentire la paura”. Infatti spesso nella nostra società  si insegna a non manifestare questa emozione come se ciò dimostrasse “maturità”. Quello che accade invece è che il bambino impara a nascondere l’emozione anziché ad affrontarla e risolverla. Ma il bambino”reale” ha paura ed è giusto che sia così; è un processo fondamentale anche a livello relazionale. Infatti esperienze ripetute di accoglimento e rispecchiamento contribuiscono a creare quella “fiducia di base” necessaria ad affrontare il mondo.
Un metodo “dannoso” con cui gli adulti reagiscono al tema delle paure infantili sono le “minacce” che possono essere di vario tipo: 
a.       Relative all'immagine corporea ed integrità fisica del bambino (ad esempio ti picchio…)
b.       Identità ed integrità psichica ( non esisti, non vali, ecc…)
c.       Separazione (ti mando via, ti lascio al nido)
Questo può dar vita ad alcuni disturbi come alterazioni del sonno e dell’appetito, regressione e stati di ansia generalizzata.  In casi molto gravi bambini che sono stati terrorizzati fino a perdere il controllo possono apparire indifferenti di fronte a situazioni paurose. A livello fisiologico infatti il sistema di attivazione corporea (a causa di una iperattività del sistema parasimpatico) disattiva le risposte dolorose di fronte alla paura e il corpo rilascia gli oppiacei (sostanze intorpidenti).
Educare alla paura invece significa sollecitare nel bambino un’ esplicita capacità di chiedere aiuto, di palesare i suoi timori  a chi può aiutarlo a farsene carico. Ma significa anche dal punto di vista dell’adulto collocare il proprio intervento non sul piano di una razionalizzazione svalutante nei confronti dell’oggetto della paura bensì sulle capacità di rassicurare. Il problema però è che le paure “immotivate” dei bambini sollecitano negli adulti sensazioni di incapacità e sentimenti di impotenza.
La più grande difficoltà è che il linguaggio degli adulti non corrisponde a quello dei bambini (es: non c’è nessun mostro, non aver paura). In particolar modo nei primi anni di vita, il linguaggio dei bambini è soprattutto quello delle emozioni. Può essere utile allora l’utilizzo di alcuni strumenti:
1. Il gioco: insegna al bambino a gestire le emozioni legate alla paura che diventa conosciuta e meno spaventosa. Dice Winnicott “nel gioco di un bambino l’angoscia ne è sempre una componente” (Winnicott,1988) ed aggiunge che l’angoscia è caratterizzata da una ricerca del fantastico, del mostruoso, questa è essenziale per il bambino e lui non vuole evitarla. Nel caso della paura della separazione e della perdita, ad esempio, essa viene riproposta e ricercata in giochi come quello del  tunnel e del nascondersi permette al bambino di sperimentare che l’adulto ritorna dopo un po’ che non è visto e quindi si rassicurano. Importantissimi sono gli oggetti transazionali come ciuccio e peluches  che non sono un mezzo di fuga,come spesso si sente dire, ma elementi che permettono di accettare esperienze di separazione, perdita, abbandono. Sono infatti modalità di rilassamento usate autonomamente che saranno abbandonate quando il bambino disporrà di altri strumenti.
2.  Il disegno: questo può essere un buono strumento per parlare di “paura” se diventa occasione di relazione e di racconto: un bambino spiega, racconta, domanda ed un adulto ascolta, racconta, risponde spiega in una continua interazione (Dolores Munari Poda,2003). Diventando l’oggetto della paura visibile la comunicazione diventa più facile soprattutto per l’adulto.
3. Fiabe e storie: questo tipo di narrativa mostra come la paura sia da sempre un problema dell’umanità. I bambini riconoscono le loro emozioni attraverso la storia che ascoltano, ciò gli permette di accettare un emozione “sgradevole”. Mi piace citare Barbara Fabbroni quando dice“ la fiaba è terapeutica perché il bambino trova le proprie soluzioni meditando su quanto la storia sembra implicare nei suoi riguardi e circa i suoi conflitti interiori in quel momento della sua vita” (Fabbroni, 2011). La paura non riguarda solo qualcosa, ma anche e soprattutto il timore di essere soli davanti a qualcosa è per questo che sia la fiaba che il gioco necessitano della presenza “dell’altro” narratore. Spesso gli adulti, sia genitori che educatori, si chiedono se raccontare le fiabe, come se queste provocassero la paura, ma in realtà esse non la  suscitano ma la rappresentano. Le fiabe sono storie di vita e raccontano quello che ci accade nella vita e parlano anche e sopratutto di possibilità e di cambiamento, insegnano che si può superare la paura. La fiaba arriva subito, perché parla il linguaggio stesso del bambino, che non è realistico, ma figurato; in secondo luogo, gli parla di ciò che lo interessa: del mondo intorno, dei conflitti che sente, degli adulti prima buoni e poi "cattivi". Infine gli mostra un mondo pieno sì di pericoli spaventosi, ma anche di giovani eroi spesso inizialmente piccoli/poveri/maltrattati che alla fine ce la fanno (Bettelheim,1977).
Riassumendo un adeguato supporto adulto può esplicarsi attraverso i seguenti comportamenti:
1) Accogliere la paura: L’accoglimento di cui parliamo è quello descritto da Winnicott (Winnicott, 2006) e che consiste in tre processi fondamentali. Il primo è la holding (comprende l’accettazione dell’altro e la capacità di contenerlo nel corpo e nella mente ascoltandolo e proteggendolo). La seconda fase è quella dell’handling (fa riferimento alla capacità di avere cura ed accudire il bambino trasmettendo la propria esperienza anche rispetto a ciò che è sicuro oppure no). L’ultimo passaggio infine comprende la capacità di object presenting ovvero la volontà di introdurre il bambino nel mondo valorizzandolo e promuovendone le capacità necessarie a muoversi autonomamente in esso.
2) Ascoltare la paura: Non bisogna cercare immediatamente una soluzione, ma sopratutto rispondere emotivamente al sentire del bambino.
3) Educare alla paura vuol dire invitare alla prudenza senza iperproteggere.
4) Non si educa attraverso la paura e le minaccia, ciò al contrario produce uno stress relazionale che danneggia il bambino e la sua capacità di fidarsi ed affidarsi agli adulti

Bibliografia
Benini e Malombra, Le fiabe per vincere la paura, Franco Angeli, Milano2010
Bettelheim B., Il mondo incantato,Feltrinelli, Milano,2008
Binetti, Ferrazzoli, Flora , Ho paura Che cosa spaventa i bambini: un modo per conoscere e capire le loro paure, Edizioni Magi, Roma, 1999
Christophe A., Chi ha paura della paura, Tea Edizioni, Milano, 2007
Damasio Antonio, Alla ricerca di Spinoza, Adelphi Edizioni, Milano. 2003
Fabbroni Barbara, I bambini e la paura, Edizioni Universitarie Romane, Roma,2011
Kast Verena, Le fiabe di paura, Red Edizioni, Milano, 2007
Mastromarino Raffaele, Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli, Ifrep, Roma, 2000
Mortari Luigina, La pratica dell’aver cura, Bruno Mondadori, Milano,2006
Oliviero Ferraris Anna, Psicologia della paura, Bollati Boringhieri, Torino, 2007
Preushoff Gisela, Come capire e risolvere le paure dei bambini, Red Edizioni, Como,1988
Scaparro Fulvio, Dieci lezioni sull’infanzia e sull’adolescenza, Edizioni Vita e pensiero, Milano,2003
Steiner Claude, L’alfabeto delle emozioni. Come conquistare la competenza emotiva,Sperling e Kupfner Editori, Milano, 1999
Sunderland Margot, Aiutare i bambini che hanno paura, Edizioni Erikson, Trento, 2004
Winnicott Donald, Gioco e realtà, Edizioni Armando Editore, Roma,2006

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