venerdì 4 luglio 2014

Tra anticipo, obbligo e identità debole

Tra anticipo, obbligo e identità debole
Antonella Panchetti


Il 20 Giugno, presso l'Università di Firenze, si è tenuto un focus tra le associazioni professionali (AIMC, MCE, CIDI, ANDIS, Proteo) per approfondire il tema dell'anticipo dell'obbligo scolastico a 5 anni, questione che è tornata di attualità nell'ambito della discussione sul riordino dei cicli e sulla possibilità di terminare il percorso scolastico a 18 anni.


E’ scaturito un dibattito estremamente interessante, grazie anche alla composizione del gruppo  formato da docenti universitari, presidenti di associazioni, supervisori di tirocinio, insegnanti di scuola dell'infanzia, dirigenti scolastici.
In particolare, in questo gruppo di lavoro, hanno preso parte, oltre alla sottoscritta, Anna Bonci, Barbara Scarpelli, Catia Rossi, Cinzia Mion, Doriano Bizzarri, Elena Turini, Giancarlo Cerini, Giuliano Franceschini, Giuseppe Bagni, Lia Martini, Orietta Orru, Paola Conti e Pino Patroncini e si sono confrontati  vissuti professionali, prospettive di ricerca e analisi politiche.
I docenti di scuola dell’infanzia partecipanti hanno rappresentato, pur appartenendo ad associazioni diverse, le esperienze di buone pratiche di scuola dell’infanzia della Regione Toscana.
È emerso che chi “vive” in prima persona le difficili condizioni organizzative della scuola dell'infanzia è portato a mettere in rilievo soprattutto “il negativo” che si vive nella scuola (sezioni numerose, scarsa compresenza), mentre chi si impegna nella formazione dei docenti nelle associazioni o nelle università “cerca” comunque di cogliere indizi positivi nelle esperienze migliori della scuola, ricche di professionalità e di impegno didattico.
Senza voler ripetere  ciò che molto abilmente hanno scritto Giancarlo Cerini o Cinzia Mion, colgo l’occasione per ringraziare di essere stata invitata a questa tavola rotonda perché mi ha permesso di incontrare e confrontarmi con colleghi su un argomento così rilevante.

Da anni infatti si parla di anticipo scolastico  e, se è vero che alla scuola dell’infanzia sono inseriti più del 90% dei bambini (dato che conferma la centralità del suo ruolo nei confronti degli altri ordini di scuola), dall'altra emerge con chiarezza una identità debole del corpo docente che viene evidenziato anche in “Bambini” (mese di maggio 2014) dedicato, tra l’altro, proprio all'approfondimento del tema “fragilità”. E, come si sa, fragilità può generare vulnerabilità e, nel nostro caso, la tendenza a lasciarsi “espropriare di un anno”, quello dei bambini di 5 anni, di cui proponevamo già negli anni ‘90 con il Progetto ASCANIO, l’obbligatorietà dei 5 anni nella Scuola dell’Infanzia.

La paura tra le insegnanti di quest’ordine di scuola è tanta, perché si respira ogni giorno la “precarietà” della nostra voce.

Mentre anche solamente dieci anni fa tra insegnanti e famiglie si riusciva a costruire un’alleanza educativa grazie ad una volontà comune di lavorare per il bambino, oggigiorno quando un insegnante invita ad un colloquio un genitore e purtroppo deve comunicare che il bambino presenta alcune difficoltà, il genitore per prima cosa tende a mettere in dubbio la professionalità dell’insegnante fino a dubitare che l’insegnante possa esercitare una qualche forma di violenza sul bambino. La colpa delle difficoltà che emergono comunque ricade generalmente sull'insegnante e su una istituzione che registra sempre meno credibilità. È sorprendente come, in alcuni convegni, professionisti che collaborano con la scuola suggeriscano apertamente di “difendersi dalla scuola” dando persino numeri di telefono di addetti del Ministero o del CSA ai presenti e li invitino ad intervenire nelle più disparate situazioni.
Nessun insegnante rimarrebbe stupito nel vedersi additare colpe di cui non è a conoscenza, inventate. Infatti il ruolo di insegnante è spesso svuotato delle proprie prerogative e dell’autorevolezza indispensabile nel processo di apprendimento  anche per quel fenomeno definibile come “ritiro della delega di fiducia” da genitori a insegnanti, dalla famiglia alla scuola, facendo venire meno quella continuità e coerenza di messaggi educativi derivati da mandati contrapposti. Le regole stabilite a casa non sono le stesse applicate a scuola e questo genera senso di disorientamento, confusione, difficoltà a introiettare la regola e distinguere ciò che è legittimo da ciò che non lo è.

Nell'immaginario collettivo quale è l’insegnante bravo nella scuola dell’infanzia? Cosa deve fare? E cosa deve saper fare?  La cosa più interessante nell'ascoltare i commenti dei genitori è come varia il punto di vista a seconda dei propri ricordi, delle proprie idee e delle proprie aspettative “di successo” per il bambino. Infatti la scuola è sempre più investita di richieste controverse da parte dei genitori e sempre più spesso stenta a mantenere la funzione istruttiva, legata alla trasmissione dei saperi, e quella formativo-educativa legata  all'apprendimento delle regole, della responsabilità, del rispetto. 
Anche quando le insegnanti della scuola dell’infanzia si riuniscono con quelle delle prime classi della primaria è sorprendente come non valgano le indicazioni delle insegnanti quanto i suggerimenti, le preferenze che hanno indicato i genitori al momento dell’iscrizione. Anche per quanto riguarda l’inserimento anticipatario del bambino alla scuola primaria la scelta è responsabilità della famiglia che non sempre è condivisa con le insegnanti della scuola dell’infanzia, che meglio conoscono il ba
mbino in situazione didattica e la sua adeguatezza a compiere questo  passaggio.

Insegnanti e genitori avanzano richieste anche in merito alla prestazione scolastica, per cui non è più sufficiente apprendere, ma “arrivare primi”, ossia competere precocemente.
La privazione del tempo libero e del gioco libero limitano i bambini nel percorso che dovrebbe condurli alla costruzione della propria identità, all'assunzione graduale di responsabilità crescenti, alla costruzione del senso morale. 

Infanzia, etimologicamente, significa “senza parola”. La scuola dell’infanzia, scuola che ha solamente 46 anni, è giovane, fragile, vulnerabile e “senza parola” e ciò richiede interventi di mediazione, di protezione e di valorizzazione delle buone pratiche, come le esperienze positive sul curricolo verticale.

Forse -ha suggerito Giuliano Franceschini (Università di Firenze)- è un modo vecchio quello di affrontare una domanda di innovazione epocale portando sulle spalle il pesante fardello di contenitori scolastici rigidi, impermeabili, ottocenteschi. Si dovrebbe radicalmente rimettere in discussione l'idea di “gradi e ordini” scolastici, in favore della maggiore personalizzazione dei percorsi, dell'iniziativa degli allievi, della capacità di affrontare le numerose “transizioni” che vanno ben oltre la tradizionale distinzione tra il periodo scolastico dedicato all'apprendimento e la vita dedicata al lavoro. Questo rimescolamento dei confini dovrebbe aiutare a riscoprire le ragioni vere dell'educazione, oggi confinata strumentalmente a preparare per un lavoro (che spesso non c'è).   

2 commenti:

  1. Sono d'accordo, la scuola dell'infanzia sembra "scomparsa" dal dibattito, mentre resta un momento essenziale per uno sviluppo positivo dei bambini. "Scomparsa" come sembra scomparso il concetto di "infanzia", travolto da una visione "adulta" dei bambini. Anche la scuola a volte cade in questo, con uno sguardo troppo rivolto esclusivamente agli apprendimenti precoci. E' un caso o, forse, davvero l'inizio di una nuova discussione, che oggi, 5 luglio, sull'inserto del sabato di "Repubblica" "D", Umberto Galimberti tratta da par suo gli stessi argomenti ben affrontati dall'articolo di Panchetti.


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  2. Ho il piacere di commentare quest'articolo scritto da una Persona, Docente, che per me ha avuto molta importanza durante l'iter formativo nell'università di Firenze. L'ho dovuto rileggere più volte per soffermarmi con attenzione su alcuni punti per me essenziali da affrontare, come per esempio: cosa significa per un genitore permettere che suo figlio/a frequenti la scuola dell'infanzia, quali sono le sue aspettative, cosa richiede alla scuola scelta, e come il confronto con gli insegnanti possa fare da ponte tra alunno/a famiglia e scuola. Sentir parlare, a mio umile avviso, di anticipo scolastico fa solo venire i brividi, brividi di timore per un pensiero "emanato" su una realtà scolastica, educativa, pedagogica dunque, formativa, che ahimè solo chi la vive nel quotidiano la conosce, ecco perchè ancora una volta mi sembra un pensiero tanto lontano dall'esigenza di un bambino/a di 5 anni che ha necessità di concludere il suo percorso in un ciclo di iniziazione così delicato e ricco di stimoli, che non può essere "anticipato" a mio avviso sarebbe solo TRONCATO...credo, da ciò che ho visto nella mia complessa e massiccia esperienza scolastica in una scuola dell'infanzia, che ci sia più bisogno di valorizzare la continuità. Un percorso a metà non permette che un'identità si sviluppi a tappe, la continuità invece crea un collegamento arricchente che recupera forgia e trasforma quanto già consolidato. Non ritengo di avere le competenze per affermare se è meglio o no l'anticipo dell'ingresso del bambino nella scuola primaria, ma posso dire che se un bambino/a vive la scuola dell'infanzia non come essa è stata pensata veramente bensì come unico avvio al ciclo d'istruzione successivo condito di ansie paure costrizioni palestra di competizione, e se queste effettivamente non vengono poi smontate una volta arrivati in prima elementare, ecco credo che la cosa si ribalterebbe, e un insegnante di scuola dell'infanzia riacquisterebbe voce, perchè il luogo comune della poca importanza della sua funzione è palesemente smentita da un dato di fatto oggettivo: la fascia 3-5 anni è un'età così delicata complessa e immensa che davvero andrebbe solo resa migliore lavorando su di essa con competenze e professionalità. Per me è la colonna dorsale di un'intera vita, ecco perchè forse la più sottovalutata e "attaccata". Ringrazio la dott.ssa Panchetti per il suo contributo e concludo con una sua notevole affermazione: "la scuola dell’infanzia, scuola che ha solamente 46 anni, è giovane, fragile, vulnerabile e “senza parola” e ciò richiede interventi di mediazione, di protezione e di valorizzazione delle buone pratiche, come le esperienze positive sul curricolo verticale".

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