mercoledì 2 aprile 2014

A proposito di...
Una scuola per crescere

Una scuola per crescere, Bambini, febbraio 2014

Antonella Panchetti , tutor Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università di Firenze e
insegnante di scuola dell'infanzia presso I.C. di Vinci, Firenze.

Ho letto con molto interesse l'articolo “Una scuola per crescere” (“Bambini”, febbraio 2014) scritto da una mamma, Dorys Contreras. Mi stupiscono molto le parole, i sensi e i significati che dà questo genitore all'esperienza scolastica e credo che questo articolo dovrebbe essere diffuso anche tra i genitori dei bambini che si approcciano ad entrare nella scuola dell'infanzia.


Nella mia esperienza, infatti, ho osservato che le maggiori preoccupazioni e i “rischi” che le mamme percepiscono, all'inizio dell'esperienza scolastica dei loro figli, si focalizzano intorno al:

•  Fronteggiare con risorse ad hoc improbabili ma improvvise escursioni termiche;
•  Le maestre che non solo si ricordino che fanno già pipì e popò da soli ma tengano il conto delle corse verso i luoghi decorati all'uopo così da fornire al genitore un'informazione numerica precisa e dettagliata;
•  La mancanza della mano della mamma che accompagna il cucchiaio verso la piccola bocca, qualora non colta dalla maestra, possa portare ad un catastrofico e muto digiuno, inumanamente ignorato persino dalla sporzionatrice;
•  L'accertarsi che nella competenza della maestra esista una corazza invisibile che si attiva a ogni minimo segnale di attacco marmocchio/marmocchio;
•  La dolorosa ipotesi che il piccolo sia stato abbandonato mentre scavava una buca in giardino o che sia stato cadere in un secchio di tempera rossa probabilmente abbandonato in un angolo della scuola da un pittore di passaggio; o nessuno abbia notato che è impossibile che abbia mangiato tutto se distese di legumi e stelle filanti di pasta all'uovo decorano la tutina nuova regalata dalla suocera.

Inaspettatamente la mamma che scrive offre a tutti un'opportunità di riflessione storica sui cambiamenti che si sono evidenziati nel rapporto educativo genitori-figli negli ultimi trenta-quarant' anni e che emergono nella quotidianità scolastica.

Noi genitori abbiamo paure diverse da quelle dei nostri genitori? Oppure è il nostro modo di educare e di approcciarsi al rischio che è cambiato? Mi chiedo se queste differenze siano legate ad aspetti culturali, familiari , oppure intrinsecamente personali, e inoltre quale sia il ruolo dei cambiamenti esterni, materiali, avvenuti nel corso degli anni sull'ambiente, sul nostro modo di vivere e di gestire le nostre paure e timori rispetto ai rischi che i nostri figli, nella loro crescita, dovranno irrimediabilmente affrontare.

Noi adulti siamo convinti che per un bambino saper giocare, aver acquisito una maturità motoria globale, saper correre, saper cadere, saper riconoscere i piccoli pericoli che possono esserci in un ambiente … siano competenze naturalmente acquisite. Chi lavora nella scuola dell'infanzia sa molto bene che non lo sono

Negli ultimi anni si osserva un numero crescente bambini che mostrano difficoltà legate alla corporeità, alla spazialità, alla percezione del pericolo, alla capacità di giocare. Se saper giocare insieme agli altri è una conquista, avere la capacità di soffermarsi su un gioco dovrebbe essere cosa scontata, perché il gioco è un bisogno naturale e il bambino non ha bisogno che qualcuno glielo insegni; la dimensione del gioco infatti è precedente a quella culturale-educativa. Ciò che si osserva sempre più spesso nei bambini in età prescolare è da una parte un elevato consumo di giochi e di occasioni che rispondono al bisogno di gioco nel tempo extra-scuola, dall'altra vere e proprie forme di deprivazione dell'esperienza ludica nel suo significato autentico. Tutti insegnano loro ogni sorta di gioco sotto forma di attività strutturata dove rischio e imprevisto sono ridotti al minimo, pochi colgono che il bambino ha perso la naturale capacità di mettere insieme elementi della realtà casualmente disponibili con la sua immaginazione, fantasia e capacità creativa inventando, creando, costruendo un gioco. Un tempo quella quota di imprevedibilità connessa all'invenzione e alla sperimentazione libera (di sé) si univa a quella giusta quota di rischio e all'opportunità di conoscere e fare i conti con la possibilità di sentirsi frustrati prima che gratificati.

Oggi infatti sono modificati i presupposti fondamentali dell'esperienza ludica:
  • •  i bambini hanno poco tempo per giocare liberamente, nel senso più autentico;
  • •  i bambini non sono autonomi nella gestione dei tempi per il gioco libero che molto spesso sono tempi residuali;
  • •  gli spazi sono spesso già finalizzati e il far giocare i bambini in “luoghi di vita” , come può essere un campo, oppure in un'oliveta o nel bosco, non è funzionale ai bisogni dell'adulto;
  • •  il materiale è pensato e scelto dall'adulto genitore/proponitore/ideatore di giochi;
  • •  l'aspetto socializzante è ridotto ai tempi scuola;
  • •  il senso di autoefficacia nel bambino trova poche opportunità per affermarsi. 
Non si può negare l'importanza formativa del gioco libero che lega gli aspetti simbolici e la dimensione motoria con il senso di autoefficacia.

Ma già qui c'è un elemento di criticità, perché c'è chi vive il rischio come sfida, come elemento imprescindibile e necessario della propria vita, e c'è chi invece dal rischio fugge.

Oggi l'iperprotezione del genitore allontana il bambino dalla vita reale. Le relazioni si allontanano da l'esperienza vissuta e dall'autenticità legata alla spontaneità e alla condivisione della quotidianità e si basa su una sorta di prevenzione generalizzata al “rischio”. Il tablet portatile protegge dalla noia, le evitate opportunità di socializzazione proteggono dall'aumento di azioni della vita quotidiana. La delega ad altri che organizzano attività consente al genitore di non essere implicato. Se la responsabilità educativa percepita pone la scuola al servizio dell'imparare nella concretezza dell'esperienza anche a risolvere in modo sempre più autonomo piccoli problemi quotidiani, fronteggiando situazioni che aumentando l'autonomia migliorano la consapevolezza di sé, giungere a un Patto educativo condiviso tra la scuola e la famiglia significa guardare oltre la forma, dentro i significati

Infatti L'obiettivo educativo di fondo (dovrebbe essere) quello di sensibilizzare i bambini ai rischi e ai pericoli permettendo loro di sperimentarsi in sicurezza. Lo scopo è quello di affrontare il rischio in un modo “protetto” e non di evitarlo a tutti i costi, rispettando anche la particolarità e i tempi di ogni bambino, perché come noi adulti, anche i bambini possono essere più o meno propensi al rischio.

Gli incidenti e le situazioni di pericolo che i bambini si trovano a dover gestire non possono non essere ascoltate, ma dovrebbero far nascere riflessioni profonde, scambi e confronti sui contesti nei quali crescono i bambini, sulle relazioni in cui si muovono, sul significato da dare a concetti e a pratiche importanti come quelli del “aver cura”, del “prevenire”, ma anche del “rischio” come dispositivo pedagogico da gestire in positivo.

Il bambino conosce il suo pari misurandosi con lui anche attraverso il gioco. La competizione e le regole fanno parte del gioco e della relazione. Conoscere l'altro e il mondo implica il saper aspettare …. Uno sguardo, un sorriso, un suono, un profumo inatteso. Se pensiamo che l'adulto di oggi sta proteggendo il proprio figlio da tutto ciò allora capiamo che è il genitore a correre il rischio più grande.

2 commenti:

  1. Questa cosa dei genitori che propongono i giochi ai figli non mi è mai piaciuta tanto, sarà che quando ero piccola io si giocava in cortile senza genitori. Siccome io non sono una mamma da "facciamo i lavoretti con la pasta di sale", quando vedo che la mia piccola di due anni non riesce più a giocare da sola in genere propongo una passeggiata, però magari passo da menefreghista. Certo, per le giornate in cui siamo costrette in casa qualche idea me la faccio venire pure io…

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    1. E' molto bella l'idea di andare a fare una passeggiata perché permette di soffermarsi su piccole cose: un sasso, una foglia, un fiore.... aiuta a costruire una relazione positiva con la bambina...
      Spesso per noi genitori non è facile fare i genitori e molto spesso invece di parlare con i nostri figli, ci preoccupiamo di proporre giochi e organizzare i tempi liberi dei bambini in attività come piscina, inglese, laboratorio di...
      Antonella

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