giovedì 26 novembre 2015

Domandando si impara - Novembre 2015. I BAMBINI NON POSSONO USARE LE FORBICI, VERO?

di Elisabetta Marazzi


Ripensare lo spazio, allestire il contesto, aggiungere o togliere materiali e strumenti rimanda alla nostra idea di bambino, di ruolo dell’educatore, ai nostri riferimenti culturali, rimette in gioco conoscenze, aspettative, stereotipi e ansie!


I bambini si fanno male, i bambini devono essere controllati perché non sono capaci di gestire alcuni strumenti, non possono giocare con alcuni materiali perché sicuramente ne fanno un uso errato con il rischio di fare del male a sé o ad altri… Talvolta ci diciamo che non è possibile mettere a disposizione le forbici, che per mangiare non si possono dare le forchette d’acciaio o che, per quanto ne potesse dire Elinor Goldschmied, molti dei materiali presenti nel cestino dei tesori sono tutt'altro che sicuri, primi tra tutti castagne, catene e specchietti!
A partire da queste incertezze e perplessità si aprono domande sull'adeguatezza di quanto dato ai bambini (un certo materiale è sicuro?), sulle organizzazioni che permettono di utilizzare alcuni strumenti (quante educatrici sono presenti quando ai bambini vengono lasciati i colori o le forbici?), sulle caratteristiche dei bambini che consentono certe sperimentazioni (quali competenze hanno i bambini quando vengono lasciati liberi di muoversi autonomamente all'interno di laboratori o in spazi in cui siano presenti scale?) e, soprattutto, si aprono – o meglio dovrebbero aprirsi – domande su se stessi e sulle proprie idee di educazione. Ecco quindi che forse le questioni più appropriate da porsi potrebbero essere: me la sento di farli provare? Posso pensare che le mie aspettative siano afferenti all'area dell’immaginario e dello stereotipo e non necessariamente dati di realtà? Sento di voler vedere oltre idee preconcette tali per cui il controllo deve farla da padrone rispetto all'accompagnamento e alla progettazione? Decido di voler rischiare? Decido di scegliere pensando ai bambini che ho di fronte e a una idea di educazione atta a sostenere l’autonomia?
Parlare di educazione significa necessariamente parlare di autonomia, nel senso di sostenere l’autonomia dei soggetti nel riconoscere i propri limiti, le proprie risorse, i propri saperi e le possibili strategie che ciascuno mette in campo. Significa altrettanto cogliere l’imprevisto nella molteplicità di significati e di possibilità. Infine, comporta partire dalla capacità di cambiamento che hanno le persone per arrivare a un ulteriore cambiamento.
Far questo vuol dire forse assumersi dei rischi progettati relativamente al ruolo dell’educatore e all’idea di bambino: “La relazione tra il progettista di un intervento, gli operatori e i destinatari dell’intervento stesso costituisce un rapporto di potere in cui si realizza un’influenza decisionale ambita da scelte di fondo e valori di riferimento, e che richiede l’assunzione di responsabilità e la consapevolezza delle proprie azioni” (D. Felini, R. Trinchero, a cura di, Progettare la media education, Franco Angeli, Milano, 2015).
“Il bambino è spesso visto come un piccolo scienziato che, esplorando il mondo, scopre i principi del suo funzionamento. A volte ci dimentichiamo che, mentre lo scienziato lavora ai limiti della conoscenza umana e scopre cose che nessuno ancora sa, il bambino scopre esattamente quello che tutti già sanno” (B. Rogoff, Imparando a pensare, Raffaello Cortina, Milano, 2006).


Pensandoci, forse, i bambini possono usare le forbici!

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