martedì 12 giugno 2012

Rabbia e dolore quando l’implicazione etica esplode: “Adesso basta, il bambino non si tocca!”

I Servizi Educativi e Scolastici per la fascia 0-6 anni possono essere luoghi di vita gioiosi e ricchi di importanti acquisizioni per tutti coloro che ne vivono, con ruoli diversi e con differenti gradi di consapevolezza, spazi e relazioni. A volte, però, questi microsistemi possono contenere elementi di grande sofferenza, a causa di chi pur all’interno di un ruolo istituzionale operativo, fosse carente dei prerequisiti necessari per svolgere con adeguatezza i compiti assegnati, non essendo previsti al momento dell’assunzione altri controlli che un semplice certificato di sana e robusta costituzione, insufficiente per impedire a persone con disturbi di tipo psicologico di accedere al sistema. Il legislatore, cosa gravissima, non ha pensato neppure ad istituire, in una fase successiva e ad ingresso già avvenuto, figure competenti a sollevare queste persone dal delicato incarico d’Istituto.

Peraltro recentemente le normative emesse dall’ex ministro della Funzione Pubblica Brunetta hanno peggiorato la situazione, avendo eliminato anche la protezione legale dell’Avvocatura per quei Dirigenti che volessero affrontare con serietà il problema, nel momento in cui venissero, da parte delle stesse, eventuali rivendicazioni di tipo legale. Un vero dramma giocato sulla pelle dei bambini e che mette in evidenza le carenze che il sistema normativo spesso presenta nel dare risposte esaurienti a quelle che sono consapevolezze sociali, che arrivano quasi sempre in anticipo rispetto alle leggi.
Per questo sovente nei gruppi ci vediamo costrette a risolvere il problema dall’interno e a trovare “rimedi paletto” capaci di bloccare eventuali comportamenti inadeguati. Misure difficili da gestire e che comportano un onere assai gravoso da svariati punti di vista, il peggiore, secondo me, quello legato all’implicazione morale.
Queste persone, anche quando avessero la possibilità del distacco in ufficio, dichiarano di non voler rinunciare al maggior numero di giorni a riposo garantiti alla categoria educativa sulla base della delicatezza del compito assolto e a quegli indennizzi di mansione riconosciuti alla stessa.
Pur evitando di parlare di specifici, qui di seguito mi proverò ad elencarne possibili connotazioni, spinta dal mio ruolo di funzionario dei Servizi Educativi e Scolastici e di coordinatrice, giustificata dal mio obbligo di tutela dei bambini e dei genitori, dei gruppi che coordino, di me stessa e della pace interiore della mia coscienza.
Intanto sono riconoscibili per assiduità di spostamento, quando incappano in gruppi forti pedagogicamente, supportati da genitori attenti, che riescono a capire celermente l’entità del problema e a costruire “paletti” che possano funzionare da deterrenti.
Per fortuna non sono molte e per parecchie di loro ad un certo punto il distacco in ufficio diventa scelta obbligata, soprattutto per il restringersi nel tempo del ventaglio di scuole a disposizione, per la fama che le narra e le precede sempre, quando stanno per arrivare in un nuovo Servizio educativo. Una volta che accettano di fare il salto di categoria, comunque, se le si rincontra nei meandri degli uffici municipali, sembrano stare molto meglio di come le abbiamo lasciate.
Concretamente ho imparato a capire se ho un problema di questo tipo dal formarsi di “capannelli di genitori” che parlano tra loro con fare circospetto fuori dall’edificio scolastico, nel cortile, dopo aver accompagnato i figli a scuola. Perlopiù i genitori hanno paura di ritorsioni nell’evidenziare esplicitamente rimostranze nella prima sede opportuna: l’ufficio del Funzionario dei Servizi Educativi e Scolastici. Personalmente, in quel caso sono abituata a chiedere loro direttamente se hanno qualche problema, ravvisatone il sentore.
Necessitata a rispondere alla mia coscienza e alla mia etica professionale, oggi per me l’adagio stress da lavoro correlato significa quasi solo questo, altro che le tachicardie che dicono di avere queste persone quando cerchi di contrastare in qualche modo il loro operato complesso. Anzi, voglio dire al Sindacato di stare in guardia e di assicurarsi di capire bene chi hanno di fronte, quando queste persone si presentano nelle loro sedi ad invocare tutela. Lo dico anche al loro avvocato - poveretto! -, completamente ignaro di quello che sanno combinare e tramare.
Lo stress di tipo etico, che scaturisce dal doverle gestire e sopportare, ma soprattutto dalla paura di una ricaduta negativa sui bambini, è molto più reale delle tachicardie giocate in penose sceneggiate e ha ben più diritto di riconoscimento.
Alcune di loro passano tempi piuttosto lunghi in allerta sulla porta della classe invece di prestare attenzione ai bambini, sia al momento dell’uscita dei genitori al mattino sia all’ingresso pomeridiano, per vedere se parlano con qualcuno, di guardia come in preda ad una sorta di mania di persecuzione. Di fatto, vi assicuro, sono ben consapevoli di ciò che hanno seminato e temono delle conseguenze. Sembrano del tutto incapaci di valutare la gravità dei loro comportamenti relazionali e di capire le ansie che innescano ed è proprio questo che porta i genitori ad aprirsi al confronto increduli, per cercare rassicurazione e soluzioni.
La gestione di queste persone sicuramente è più difficile laddove è meno attiva la verifica sugli indicatori di qualità. Sono certa che questo problema possa riguardare anche gli altri gradi della scuola, seppure in questa fascia d’età può essere più grave, e mi viene da chiedermi quanto ciò possa avere una ricaduta anche sulla dispersione scolastica…
Presenti anche nei miei sogni, spesso proprio al risveglio mi vengono delle intuizioni su azioni possibili da sperimentare per limitarne i danni. Potere della reverie… Un genio Facchinelli!
Per quanto concerne i Comuni ritengo che se le Amministrazioni veramente fossero consapevoli di tutto quello che a volte i coordinatori si trovano a dover gestire e delle risorse personali che sono obbligati ad investire, non caldeggerebbero mai l’insensata richiesta che viene da qualcuna di noi di uscire dai Servizi per andare a stare con la propria sede in Municipio. A fare cosa? Che coordinatrici/ori educative/i saremmo, staccate/i dalle prassi, dai gruppi, dai bambini, da questo ruolo di terzi tra le parti che tutela tutti? Spostate nei Municipi, davvero verremmo tagliate del tutto fuori dalla possibilità, che invece così abbiamo, di tenere sotto controllo questi problemi e di contrastarli, di incidere su di essi. A differenza delle maestre, peraltro, un coordinatore educativo che non deve lavorare con i gruppi di bambine/i ha più tempo di girare per le classi per osservare, oltre che nel cortile… all’occorrenza, per controllare che tutto fili liscio, per trovare soluzioni. Anzi, fondamentalmente credo che stiamo dentro i Servizi proprio per questo!
Mi torna spesso in mente una frase di Dante Alighieri e oggi più di prima: “Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle, i fiori, i bambini”. Eppure ne dovremmo aver fatta di strada da allora, dovremmo aver ampliato a dismisura la nostra sensibilità in tanti secoli, più ricchi anche dei dati forniti dalla ricerca. Negli anni Settanta sembrava fossimo sulla buona strada, non capisco cosa sia successo dopo.
Personalmente ritengo che servano garanzie certe, in controtendenza con la grave deriva morale che stiamo vivendo. La Pedagogia dovrebbe saper dare consigli alla Politica nel momento di elaborazione delle leggi, in fondo la deriva la produce proprio la mancanza di valori riconosciuti. Un cane che si morde la coda, insomma! Mi indigna sentire oggi caldeggiare all’infinito, come un sonnolento leitmotiv romantico, l’idea di un “mondo migliore”: bisogna sapersi rimboccare le maniche per concretizzarlo.
Secondo questa tipologia di persone è come se il bambino dovesse farsi carico dei loro problemi personali; esse sanno bene che non ha la forza di rigettarli. A volte dietro la loro rigidità mentale che le rende sempre drasticamente uguali a se stesse, non posso proprio fare a meno di ipotizzare un odio nei confronti del loro bambino interiore, mostratosi allora, molto tempo fa, troppo debole o troppo spaventato per reagire ad un contesto terrifico e fortemente dis-confermante, quello in cui probabilmente hanno avuto la sfortuna di incappare durante l’infanzia. Ma so che queste considerazioni non mi competono e dunque passo oltre.
La loro presenza nel sistema istituzionale mi sconvolge e mi indigna dal punto di vista morale; lo posso asserire con tutta tranquillità, riconoscendo in me anche un certo livello attuale di esasperazione e di cinismo, dovuto al dolore morale e alla vergogna di non riuscire a fare di più per eliminare definitivamente il problema, non solo per la gravità che riveste, ma anche per poter rigettare perfino l’idea di potermi sentire complice. In un lavoro delicato come il nostro non dovremmo essere obbligate a sopportare anche questo ingrato carico che ribadisco essere una delle cause più importanti di stress!
Nulla giustifica, per giunta, la presenza nei Servizi Educativi e Scolastici e nella Scuola in genere di questo tipo di adulti disturbati. Credo che queste persone, poiché si tratta di bambini, possano arrivare ad assumere nell’immaginario le sembianze del tiranno, insomma le stesse connotazioni deflagranti degli aguzzini di cui parlava Levi riguardo ai lager nazisti. Sentirsi complici è qualcosa che stride col senso dell’etica professionale di una/un educatrice/ore.
Per entrare più concretamente nel merito del problema, per prima cosa ritengo che in questa tipologia di complessità aspetto culturale e psicologico siano sempre strettamente connessi e che vadano di pari passo, che siano direttamente proporzionali. Il loro aspetto culturale totalmente inadeguato, confligge con tutto quello che, invece, si sostanzia e si evidenzia come qualitativamente positivo, fino a diventare cartina tornasole, proprio per le falle evidenti che lascia trapelare. Seppure non esaustivo, dunque, questo elemento è, comunque, ottimo indicatore delle complessità di tipo psicologico.
Pertanto, la carenza degli elementi che rispondono ai dettami culturali dell’Istituzione, quelli pedagogici, ci può mettere sull’avviso quasi da subito, con un’assenza che rimanda vistosamente alla presenza. Non esistono forse indicatori di qualità dettati proprio dall’Istituzione dei Servizi Educativi e Scolastici ai quali saremmo obbligate a far riferimento?
A ben guardare anche la formazione permanente, che riguarda i collettivi e i loro fondamentali confronti, scivola via su di loro senza saper incidere neppure piccolissimi varchi, così come semi gettati in un terreno poco fertile è nell’impossibilità di far germogliare qualunque cosa produttiva e vitale. Insomma, nessuno spunto autocritico e nessuna crescita professionale, come se ci fosse un vero e proprio blocco di tipo psicologico ad impedire loro di accoglierla. Lo sanno bene i Tutor, che a volte si trovano a dover assistere alle loro performance reattivo-oppositive, miseramente autoreferenti, sul palco della formazione, quando queste cercano anche in malo modo davanti ad un pubblico, per placare le loro frustrazioni, di gettare fuori odio, invidia e rabbia covata. A turno le colleghe ne fanno le spese se solo si provano ad interloquire.
Ma non può essere che la libertà di insegnamento sancita per legge si possa trasformare nella libertà di fare ciò che si vuole e soprattutto di nuocere. In un buon sistema democratico siamo liberi, ma all’interno di dettami elaborati collettivamente, proprio per garantire tutti: ancor di più ciò dovrebbe valere per l’Infanzia, per la quale, almeno teoricamente, sono stabiliti proprio per legge diritti precisi. Un pilota va sottoposto a controlli frequenti per rilevare se la sua vista vacilla, a maggior ragione questo dovrebbe essere trattandosi di equipaggi di bambine e bambini.
In questa delicata tipologia di Servizi, Pedagogia e Psicologia, a mio parere, dovrebbero essere considerate concretamente inscindibili e la coscienza del disturbo, non rilevabile attraverso la Psicologia Clinica, inapplicata per legge a queste situazioni, comunque si può fare forte della competenza della Scienza del Fare, la Pedagogia, per poter rilevare la loro dolorosa inadeguatezza. Su questa almeno possono essere posti dei rimedi, per non soggiacere a logiche non definibili altrimenti che come mafiose, per poter tutelare tutti i minori in viaggio… Credo che le Scienze Sociali possano fregiarsi del titolo di Scienze solo quando sanno uscire dalla vaghezza e calarsi ad interpretare i segnali, negli specifici, per trovare soluzioni adeguate.
Ho sentito dire addirittura che anticamente alcuni Collegi Docenti, non potendosi liberare di queste maestre, mancando appunto tutele legislative a cui appigliarsi, proponessero loro di lavorare stabilmente nel tempo antimeridiano, perché questo veniva vissuto come il male minore dai gruppi; anzi, sovente la richiesta di essere assegnate ad un antimeridiano veniva espressa proprio da queste persone, per le difficoltà di condivisione che esse hanno e perché nessuno potesse mai fare confronti: li odiano e da essi può scaturire la loro invidia verso le colleghe. In tal modo tutti venivano così dispensati dal sopportarne il peso, in un lavoro già faticoso di per sé. Ma il bambino? Fortunatamente almeno nel nido non è mai stato possibile prospettare loro questa “soluzione capsula”, per l’impossibilità offerta dalla diversa organizzazione del lavoro di non poter lavorare altrimenti che in gruppo.
Insomma, ad un certo punto ho cominciato a voler diventare più esperta sul tema “cattiva maestra”. Nel tempo ho capito che la semplice osservazione personale nella classe non potesse essere più sufficiente a farmi percepire il senso delle risposte dei bambini, quegli strani sintomi che proprio l’osservazione comunque, mi portava a rilevare, sempre gli stessi e con indici piuttosto elevati, giustificabili solo parzialmente con la povertà degli stimoli forniti.
Nel dubbio cambiare l’organizzazione del lavoro, seppure ha comportato grossi sacrifici e oneri soprattutto per le maestre, è risultato fondamentale. Abbiamo capito chiaramente che questo tipo di maestra non va lasciata mai da sola coi bambini, perché in tal modo è nella possibilità di manipolarli psicologicamente.
Con un’organizzazione del lavoro adeguata alcuni meccanismi utilizzati, subdoli e impercettibili, di difficile definizione, si sono manifestati quasi naturalmente, perché gli “occhi di una rete” e una presenza costante nella classe hanno cominciato a farci vedere pian piano quegli elementi capaci di determinare le costanti comportamentali dei bambini.
Peraltro, i genitori e i bambini, essendoci quasi sempre una compresenza qualitativamente adeguata, hanno cominciato a percepire la differenza anche nei migliorati comportamenti dei bambini a casa. Come sappiamo bene i bambini tendono a riprodurre nel gioco simbolico le cose che vedono fare agli adulti e da questi imparano, come ci conferma la teoria dei neuroni specchio. Suona assai strano per una madre, allora, veder diventare verbalmente aggressiva e punitiva con le bambole una bambina che è sempre stata tranquilla, nel momento in cui finge di essere la maestra.
Per quanto riguarda l’organizzazione ho capito anche che bisogna saper scegliere attentamente le maestre e le educatrici che possono lavorare insieme alle “cattive maestre”: servono insegnanti perspicaci, assolutamente forti della Pedagogia e del senso delle buone prassi, con un carattere determinato e una logica chiara, mai vacillante, il che significa sicuramente capaci di privilegiare i diritti dei bambini alla pena per un adulto, che alle brutte rischia solo di essere spostato ad altre mansioni. In fondo nel privato e anche nel privato sociale perderebbero il posto.
Un altro indicatore è dato anche dal fatto che “le pareti parlano” e quelle delle classi dove ci sono queste maestre complesse parlano proprio male, una lingua veramente povera, confusa, senza nessuna risonanza emotiva. Affiggono un’infinità di lavori utili solo a dare “fumo negli occhi” ai genitori, proprio attraverso l’utilizzo della quantità, per depistare. Lavori a guardar bene poco creativi e mancanti di obiettivi adeguati, che presentano un bambino considerato mero esecutore del quale non si percepiscono processi evolutivi e conquiste. Di nuovo l’assenza che rimanda alla presenza e il fatto che da questo possano essere depistati anche i genitori sono ulteriori aggravanti.
Il loro operato non solo si oppone all’idea di prevenzione che è viva nei Servizi, ma confligge anche con quella di testimone consapevole e di resilienza che dovrebbero sostenere sempre il nostro agito soprattutto nel caso di situazioni di bambine e bambini che provengono dai contesti più deprivati.
Si reputano brave maestre, lo dicono e se lo raccontano continuamente, se ne illudono contro ogni evidenza - un ruolo drammatico e al tempo stesso grottesco quello che interpretano -, eppure non sanno neppure cosa possa significare regia in una classe, a cosa servano i centri di interesse e il piccolo gruppo, né cosa siano il gruppo dei pari, il lavoro di interclasse, l’area prossimale di sviluppo e il feedback, quello a cui dovremmo sempre saper dare rilievo proprio per strutturare proposte adeguate. Insomma, non sanno proprio niente di tutto quello che dovrebbero sapere per poter stare dove stanno!
Le loro classi complessivamente appaiono estremamente povere e, anche quando sono ricolme di un’accozzaglia di materiali, queste sembrano piuttosto dei magazzini. Insomma, tutto quello su cui ci siamo andate formando nel tempo pensando al benessere psicofisiologico del bambino reale non le riguarda, perché non le può proprio riguardare e certamente la Pedagogia, se non la Psicologia clinica, di questo può prendere atto tranquillamente!
Fotografie di realtà difficilmente descrivibili ed interpretabili tutto ciò che le riguarda, anche se contenute in eventuali riservate, quando ci si rivolgesse ai Dirigenti descrivendole, per chiedere loro di intervenire. Troppi elementi evanescenti in quegli scritti, fatti diversi da uno schiaffo, che diversamente dalle manipolazioni di tipo psicologico potrebbe essere un fatto tangibile e di facile descrizione. Che fare?
Ad un certo punto ho capito che i fatti che le riguardano e che vengono permanentemente osservati da più occhi vanno fissati, per evitare di dimenticarli, per poter riflettere adeguatamente sui nessi causali dei sintomi rilevati nei bambini. Solo io, proprio nel mio ruolo, potevo “tessere la rete” delle informazioni acquisite naturalmente dai genitori e dalle colleghe, scrivendo tutto ciò che mi veniva detto, come nella normale osservazione, che continuavo contestualmente a fare perché mi permetteva cogliere nuove sfumature. Come se fosse un’unica ampia osservazione, insomma, fatta da occhi diversi, che mi lasciava finalmente ricomporre, coi vari pezzetti delle realtà osservate, il senso complessivo. Una sorta di “puzzle delle osservazioni”, in cui quelle che rimandavano allo stesso significante andavano affiancate e soppesate, privilegiando in sequenza le più chiare, quelle che ci permettevano di cogliere meglio quei nessi causali capaci, appunto, di spiegare i comportamenti dei piccoli. Coordinare è anche farsi carico di tutte le perplessità e poterle verificare, o no?
L’organizzazione e l’osservazione per me, come forse per altre di noi, sono diventate insomma una vera e propria specializzazione professionale, lo sappiano bene queste signore! La rete di occhi ci permette di uscire dall’evanescenza, facendoci assemblare tasselli, e i tasselli ci rimandano un’immagine sufficientemente chiara del loro contorto modo di pensare. Finalmente forse un deterrente!
Ritengo che oggi la rete che dentro l’Istituzione dei Servizi Educativi e Scolastici possiamo attivare sul tema “cattiva maestra” ci possa tutelare e, soprattutto, possa tutelare i piccoli. Peraltro, una consapevolezza maggiore del problema può aiutarci non solo ad impedire loro di produrre danni ma anche a costruire finalmente delle soluzioni più plausibili per tutti, in fondo anche per loro! Roma non è più un paese del profondo Sud abbandonato nei Servizi Educativi e Scolastici, anche nella nostra città ormai è assai forte la consapevolezza dei diritti delle bambine e dei bambini e il bisogno etico ci morde la coda.
Ho scelto di creare discontinuità proprio per sovvertire la cattiva tendenza dell’istituzione a trasformarsi in istituzione totale e, scrivendone, non solo cerco di stimolare la costruzione di un sapere collettivo, ma spero anche di contribuire a sollecitare nuove normative capaci di affrontare più adeguatamente il problema. La rete mi fa pensare al mare e mi fa stare bene, l’elemento acqua mi avvolge e mi rigenera anche più dell’elemento aria; infatti è proprio nel mare del microsistema che ho imparato ad osservare con altri occhi e che ho acquisito consapevolezze nuove, molto diverse da quelle più limitate dei miei processi mentali solitari. Così i Servizi Educativi e Scolastici possono tornare ancora a trasformarsi anche per me, soddisfatto il mio bisogno morale, in luoghi gioiosi e produttivi, così come debbono essere! È proprio vero quello che sentivo dire a mia nonna fin da quando ero bambina: “Chi la spunta la vince!”

Roma, 6 giugno 2012

Tiziana Bonfili

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