venerdì 23 gennaio 2015

Pensieri in libertà - dicembre 2014. GRANDI BAMBINI!... O BAMBINI GRANDI?

di Daniele Barca
Dirigente scolastico, Istituto Comprensivo di Cadeo e Pontenure (Pc)

Interno, sera, ai tavoli di una pizzeria: tre famiglie con bambini della primaria. I genitori: “Ma hai visto che non fanno ancora le operazioni a mente? Secondo me stanno indietro! Le maestre di una volta, quelle all’antica, sì che ci sapevano fare… A 10 anni facevamo i compiti da soli… Sono in quinta, ma è come se fossero in seconda, hai visto come scrivono e leggono? Come faranno alle medie?”.



Esterno, giorno, ai giardini, due nonni con bimbi di scuola dell’infanzia: “Hai visto quante cose sa? E come parla… E come è intonato!? Eh, ai nostri tempi, mica sapevamo tutte quelle cose. Neanche mio figlio, mi sembra fosse così sveglio. Imparano tutto, rapidamente, incredibile… E l’inglese? E la musica? Mio nipote ha una marcia in più…”.
Due istantanee. Bambini diversi? No, sono gli stessi che poi troviamo nelle aule, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado. Da un lato, sembrano precorrere le tappe, sanno tutto prima rispetto che in passato; sono svegli, intuitivi, rapidi. Dall’altro, in prima alla primaria sembrano bambini da scuola dell’infanzia, alla secondaria sembrano rimasti alle primarie, in prima liceo sono immaturi, in terza superiore sono ancora dei “primini” e all’università pare non abbiano fatto le superiori!
A leggerla con la metafora dell’Emilio di Rousseau, sembra che allo stato naturale siano dei geni ma incasellati nella scuola perdano colpi, sin dall’infanzia. Quanti bimbi, che i genitori raccontano come bambini con una marcia in più a casa, sembrano perdersi a scuola?
Un libro di quindici anni fa di Claudio Volpi e Daniela Silvestri, intitolato Bambini e maestri nel villaggio globale (Editoriale BM, 1999), esponeva una sintesi efficace del fenomeno che oggi vediamo pienamente compiuto: il bambino adulto. I mass media, i bisogni, le risposte del mondo che ci circonda disegnano un’infanzia a due facce: anticipazione della vita adulta e prolungamento della condizione infantile di irresponsabilità. A pagina 15 leggiamo: “Tra le cose antiche e nuove che comporta l’essere bambino oggi se ne possono stralciare tre: a) bisogno accelerato di informazione; b) bisogno di apprendimento puntuale di comportamenti; c) bisogno di intravedere ciò che costituisce l’umano. Sono bisogni antichi che, calati e tradotti nei termini coniati delle complessità dell’ambiente socio culturale in cui siamo, prendono una fisionomia inedita”.


Se la prima cosa è quanto di più facile, la terza tocca una consapevolezza che non è comune in età infantile, alla seconda come si può dar risposta? È la strada più faticosa, ma l’equilibrio tra una fuga in avanti del bambino, data dalla molteplicità (e semplicità) di informazioni cui accedere, e un cammino a gambero, di fronte alle richieste dell’approssimarsi all’età dello sviluppo, è l’unica chiave di volta. Un equilibrio che si nutre di comportamenti degli adulti. Può sembrare antico, ma la cura di se stessi, della famiglia, del proprio lavoro, dei propri impegni, senza nascondere la fatica quotidiana che tutti anima, sono aspetti da mostrare, per farci osservare, “studiare” in quell’apprendimento inconsapevole ed efficacissimo che scaturisce dal comportamento... eroi quotidiani della responsabilità.

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