martedì 22 marzo 2016

Pensieri in libertà. Febbraio 2016. QUALE SCUOLA PER QUALE EUROPA?

di Daniele Barca


Ho letto recentemente il rapporto della rete Eurydice sulla scuola dell’infanzia in Europa (Key data on Early Childhood Education and Care in Europe, 2014), uno spaccato interessante di un duplice atteggiamento dei Governi europei: 


un forte interesse, al di là della soluzione individuata, per la prima infanzia e per i curricula 0-6 e, al contempo, la difficoltà ad assicurare una qualità rilevante in epoca di crisi e riduzione della spesa a fronte di costi elevati.
Accesso e qualità in Europa presentano molte variabili (chi li organizza, secondo quali modelli e curricula) e diverse scelte (privilegiare la cura o l’educazione, inserire già nel curricolo di istruzione).
Per l’accesso colpiscono due dati. Nell’Unione Europea a 28 Paesi il 93% dei bambini sopra i 4 anni è inserito in un percorso di preistruzione mentre, all’opposto, solo il 30% al di sotto dei 3 anni accede a una struttura pubblica o convenzionata per la primissima infanzia. Dati tutto sommato comprensibili se si pensa alla diffusione della cura casalinga in molte realtà e alla possibilità estesa dei congedi parentali in molte altre. Un filo rosso accomuna questi numeri. In entrambi i casi la scelta è più di carattere sociale che di carattere educativo. Per dirla meglio, mandare i bambini a scuola sin da piccolissimi è un’esigenza legata al lavoro dei genitori più che alla convinzione, seppur esistente, che il percorso educativo debba cominciare presto. E questo non solo nella “mammona” Italia. Specularmente per i decisori e per chi progetta i curricula vi è la difficoltà di fare una giusta media tra cura ed educazione, tra assistenza ai bisogni primari e costruzione di progetti educativi; un equilibrio che pende per la prima nei primi anni, ma che comunque è costate in tutte le scelte pedagogiche dei Paesi analizzati.
Rendere i percorsi per l’infanzia veri percorsi educativi segue, quindi, principalmente due strade. L’innovazione nei curricula, come nelle nostre Indicazioni che in questo senso possono fare scuola, anche se lo iato tra i documenti e la realtà non sempre dà ragione di «pensate» illuminate. E l’obbligatorietà di almeno un anno di scuola 0-6, fenomeno che ancora nel 2013 vedeva Croazia, Italia, Lituania, Romania, Slovacchia, Islanda e Turchia al palo, anche se, nel contempo, Croazia e Romania recentemente hanno scelto di rendere obbligatorio un anno di pre-primaria.
Il vero nodo, però, sottolinea la ricerca, anche per dare senso e obbligatorietà all’azione, è la qualità dei docenti, sia per quanto riguarda il titolo di provenienza e la qualificazione tramite concorso e formazione. Con una differenza sull’utilizzo di personale più qualificato generalmente a partire dai 3 anni e un focus sull’orario di servizio rapportato al numero dei bambini assegnati. Due aspetti su cui riflettere, perché se è vero che una tradizione di cura spinge a ritenere meno necessarie competenze avanzate, e anche vero che, per esempio, la conoscenza dei fondamentali delle neuroscienze potrebbe aiutare molto le maestre nella comprensione delle potenzialità sin dall’età infantile. Senza dimenticare che non sarebbe corretto parametrare numeri e orari per il ciclo dell’infanzia senza tenere conto della delicatezza dei compiti. Forse le recenti e, purtroppo ricorrenti, cronache di violenze perpetrate dalle maestre dovrebbero dirci qualcosa...


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