martedì 17 maggio 2016

Domandano si impara - Maggio 2016. QUANTE PAROLE? QUALI PAROLE?

di Elisabetta Marazzi

Parlare con bambini e adulti è talvolta più complesso di quanto non sembri e rimanda a saperi spesso dati per scontati o non considerati. In particolare, mi vengono alla memoria alcuni episodi d’interazione con i bambini, che vorrei raccontare.



Un primo esempio riguarda una sezione eterogena di una scuola dell’infanzia. Entrando in classe una bambina di 4 anni mi guarda e io, avvicinandomi a lei, la saluto e le chiedo: “E tu chi sei?”. Lei mi guarda e poi, indirizzando lo sguardo alla sua destra, allunga il braccio verso la parete che le è accanto e, indicandomi il suo simbolo, mi dice: “Sono la ciliegia!”. Io rimango perplessa, poi giro gli occhi verso la parete e vedo che siamo proprio accanto al pannello delle presenze su cui sono attaccati tutti i simboli dei bambini. A quel punto mi rivolgo nuovamente alla bambina e, scusandomi per non essermi espressa chiaramente, le chiedo il nome.
Un altro esempio è ancora di scuola dell’infanzia. Un gruppo di bambini di 3 anni e mezzo sta giocando liberamente. Io sono seduta e li sto osservando. Un bambino mi si avvicina e mi chiede: “Tu dove abiti?” e io rispondo: “Un po’ lontano da qui”. Il bambino allora mi guarda e nuovamente chiede: “E dov’è?”.
E poi ancora… durante il momento del pranzo in un nido un gruppo di bambini di circa 18 mesi è seduto a tavola e sta mangiando. L’educatrice per sostenere i bambini nell’assaggiare le verdure dice: “Me le mangerei io!!!” ed ecco che un bambino le allunga la posata con sopra un po’ di verdura prendendo sul serio l’affermazione scherzosa dell’adulta.
Sono brevi narrazioni, esempi che, credo, possano rimandare all’esperienza che l’educatrice vive nella quotidianità educativa, situazioni che raccontano come “La coppia insegnamento/apprendimento non è divisibile […]. In realtà insegnanti e studenti compiono nello stesso tempo le due azioni di insegnare e apprendere” (P. Perticari, M. Sclavi, a cura di, Il senso dell’imparare, Anabasi, Milano, 1994). Molteplici sono quindi le occasioni attraverso cui sperimentare che, nella relazione con i bambini, le parole che diciamo hanno un peso e possono farci cogliere la pluralità dei pensieri dei bambini stessi e le modalità attraverso cui i più piccoli apprendono e scoprono: “Ecco dunque la bella sfida che ci troviamo davanti: comprendere che l’errore può diventare l’inizio e non il termine del percorso, ed essere consapevoli che davanti abbiamo menti che hanno diritto al nostro rispetto, anche se arrivano a conclusioni a cui noi non eravamo preparati. Accettare la non banalità dell’essere umano e il suo divenire” (ibidem).
I momenti di scambio verbale con i bambini, le situazioni di narratività tra adulto e bambino, le domande che poniamo e le affermazioni di cui siamo portatori possono avere più di un significato in stretta connessione con il contesto, lo spazio e la storia delle persone con cui interagiamo poiché “L’espressione di sé è personale, ricerca l’autenticità, descrive valori, emozioni, bisogni che il soggetto sente, vive dentro di sé. La comunicazione invece ha carattere sociale, è fatta per qualcuno (per l’insegnante, per i compagni, per i genitori ecc.), risponde alle caratteristiche dell’interazione e della relazione con i destinatari” (E. Nigris, a cura di, Esperienza e didattica, Carocci, Roma, 2007).
Ecco quindi che ascoltarsi nello scambio comunicativo significa ascoltare le proprie aspettative e, soprattutto, indagare i ricchissimi mondi possibili che l’altro può offrirci.

1 commento:

  1. Ciao, qualcuno sa che cosa il telefono Groupalia? Volevo scoprire cambiamento anguilla SOBR di data di un viaggio già prenotato contatti groupalia

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